Il cardinale Edoardo Menichelli (Foto Cristian Gennari/Siciliani)
Nella Giornata della Memoria, una storia di amicizia e fratellanza. All’epoca delle leggi razziali, due bambini giocavano insieme inconsapevoli di ciò che accadeva intorno a loro. Una foto immortala quei giorni di tragedia e spensieratezza: ritrae Edoardo Menichelli, oggi cardinale, e Frida Di Segni, donna di grande cultura e sensibilità, figura di spicco della Comunità ebraica. Eminenza, vuole ricordare il suo incontro con la famiglia Di Segni?
Sono felice di avere l’opportunità di ricordare una vicenda personale che ha segnato la mia vita e che mi offre oggi la possibilità di essere vicino, con sincero coinvolgimento, alla famiglia Di Segni e a tutta la comunità ebraica. Siamo alla metà degli anni ’40, quando nel paesino di campagna dove sono nato e cresciuto, Serripola, una frazione di San Severino Marche, in provincia di Macerata, era arrivata da Roma una famiglia ebrea, che aveva trovato rifugio e ospitalità in una piccola casa appartenente alla famiglia Strampelli. Ciò che racconto ora è frutto di un confronto e un dialogo che ho avuto, ormai adulto, con una delle figlie di questa famiglia, Frida Di Segni, che dopo tanti anni ho incontrato di nuovo ad Ancona e con la qua- le ho ricostruito la memoria di quei giorni. All’epoca avevo circa sei anni, Frida qualcuno di più, mentre suo fratello era quasi mio coetaneo.
Ha mai avuto la percezione che i suoi amici fossero in pericolo?
Come tutti i bambini, pensavamo solo a giocare e non eravamo consapevoli dell’orrore e delle violenze che si stavano consumando. Ricordo però che mia madre mi raccomandava sempre di non chiedere a quei bambini chi fossero e quale fosse la loro storia. La comunità locale sentiva una profonda responsabilità nei loro confronti e stava attenta a proteggerli e custodirli. Mi torna alla memoria anche un altro protagonista di questa vicenda. Ricordo la figura di un sacerdote, un parroco di cui non mi sovviene il nome, che indossava, come facevano tutti i sacerdoti, una veste lunga e un cappello che si chiamava 'tribecco' per via delle sue tre punte. La sua parrocchia non era molto vicina, doveva camminare molto per venire nella nostra zona e farci visita. Ogni volta che il religioso percepiva un pericolo, veniva lì ad avvisare la famiglia, invitandola a nascondersi, per evitare di essere vista da una ronda (fascista, ndr) che poteva minacciarne l’incolumità.
Uno spaccato di profonda umanità che si consuma in mezzo a tanti orrori.
Nonostante le violenze che dilagavano, c’era anche tanta fratellanza che come sempre nasce dall’essere figli di Dio Padre misericordioso verso tutti. Di quei giorni custodisco una foto. Siamo ritratti tutti e tre, Frida, il fratello ed io, seduti a cavalcioni su quello che sembra un tronco d’albero, o forse una botte rovesciata. Quella foto è un bellissimo ricordo che immortala bambini che giocano felici, uniti da quell’innato spirito di fratellanza che nei piccoli si manifesta in modo spontaneo. Custodisco questa memoria e al presente la vivo con grande gratitudine, ma anche con un profondo spirito di fraternità e solidarietà verso il popolo ebraico, che tanto ha sofferto e il cui dolore va rispettato.
Si era detto mai più…
Per me dipende dall’inconsapevolezza o dal rifiuto della paternità di Dio. Un conto è la convivenza umana, riconoscersi uguali, un conto è dare a tutto ciò un fondamento, che è appunto l’unicità del Padre, l’unicità di Dio che dà la vita ai suoi figli e li invita a vivere nella fraternità. Se non si sana questo principio dentro l’umanità che vive con le regole dell’oppressione, del dominio e dello strapotere, la storia non cambierà. Bisogna cambiare il cuore, e se cambia il cuore delle persone, cambia la vita e il destino degli esseri umani.