martedì 5 gennaio 2016
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Sera di san Silvestro. Nelle chiese i fedeli contemplano il presepe e cantano il Te Deum. Maikol Giuseppe Russo è un giovane napoletano di 27 anni. Vive a Forcella, quartiere a ridosso della cattedrale, tristemente noto per essere la roccaforte del clan Giuliano. È fermo nei pressi di un chiosco. Accade tutto all'improvviso. Arrivano alla velocità della luce. Sparano all'impazzata. Terrore allo stato puro. Sangue che pulsa nelle vene fino a farle scoppiare. Sono i giovanissimi sicari della camorra. Maikol viene colpito. Muore prima di arrivare in ospedale. Capodanno all'insegna della violenza. Del sangue. Di una guerra che non dà segni di tregua. Maikol non è nella lista nera degli inquirenti. Perché è stato trucidato? Le indagini portano gli investigatori sulla pista dell'errore di persona. La vittima designata non era lui. Maikol infatti è l'ennesima vittima innocente della camorra napoletana.

Possibile, ci chiediamo sbigottiti, che interi quartieri di Napoli siano ancora ostaggio della malavita? Quartieri dai quali chi ne ha la possibilità appena può scappa via per mettere in salvo i figli, lasciando a "loro", ai nemici della città, il controllo di case, spazi, strade, piazze. Quartieri che si trasformano in veri e propri ghetti pericolosi per chi vi transita, vi abita e per le stesse forze dell'ordine. Possibile che un Paese civile come il nostro debba assistere impotente al proliferare di gruppi malavitosi nelle mani dei bambini? La vita umana è sacra, unica, preziosa. Sempre. Per tutti. Anche per questi ragazzi che stentano a trovare un posto nel mondo.  

Maikol vendeva calzini per le strade pur di  non cedere alla maledetta sirena della malavita. Il presidente della Repubblica, nelle stesse ore in cui Maikol veniva ucciso, nel discorso rivolto alla nazione diceva tra l'altro: «Il lavoro manca ancora a troppi dei nostri giovani. Sono giovani che si sono preparati, hanno studiato, posseggono talenti e capacità e vorrebbero contribuire alla crescita del nostro Paese. Ma non possono programmare il proprio futuro con la serenità necessaria». Vero. Giovani che si arrabbattano, si industriano, chiedono aiuto, tendono la mano. Maikol era uno di loro. Aveva qualche precedente per piccoli reati, è vero. In queste zone chi non ne ha? Non li giustifico. Il male non va mai giustificato. Ma dobbiamo almeno sforzarci di leggerlo, capirlo, interpretarlo per sconfiggerlo. Prima che ti sfuggano dalle mani e se ne vadano via. Dalla Chiesa, dalla casa, da se stessi. Sanno di sbagliare, ma si persuadono che sia l'unica cosa da fare per sopravvivere. Si convincono di essere "i maledetti" in un Paese che non li vuole. Li esorti a studiare. Alcuni ti ascoltano, si diplomano, poi restano parcheggiati.

Forcella è Italia. Parco verde, Scampia, Salicelle sono Italia. Un'Italia che da queste parti non si avverte molto. Un'Italia che è sempre impegnata altrove. I vicoli di Napoli possono offrire tanto ai turisti, ai visitatori, a chi ha voglia di contemplare le bellezze e la storia della città.

La zona di San Gregorio Armeno in questi giorni di Natale era uno spettacolo da vedere. Un unico presepe vivente con migliaia di pastori. La paura, però, di essere coinvolti in una sparatoria paralizza. La morte di Maikol ci addolora. Lo sdegno è grande. La vita di questi ragazzi vale quanto la vita degli altri italiani. Diciamo basta a questa mattanza. Ad alta voce. Con tutti gli italiani di buona volontà. Davanti a una delinquenza stupida e sanguinaria, i rimedi debbono essere estremi, severi e sicuri. Occorre avere il pugno fermo e alternative da offrire. Occorre che la politica mantenga la parola data, le promesse fatte. Dobbiamo liberare i quartieri-ghetto dalle grinfie di chi ha usurpato il comando senza averne alcun diritto.

Uno striscione che gli amici di Maikol hanno affisso recita: «Con la rabbia negli occhi e l'odio nel cuore». La parola «odio» mi spaventa. Potrebbe trasformarsi in sete di vendetta, dando alla serpe velenosa la possibilità di continuare a mordere.

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