mercoledì 13 settembre 2023
Il Patto per un nuovo welfare sollecita Governo e maggioranza a finanziare i decreti delegati da presentare entro gennaio. La partita finanziaria e quella politica
Una infermiera impegnata nell'assistenza a un'anziana

Una infermiera impegnata nell'assistenza a un'anziana - .

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Rappresenta l’altro volto degli aiuti alla famiglia. Quello che guarda, non ai bambini, ma agli anziani. All’assistenza a coloro che non possono restare soli, anzitutto. E all’altrettanto fondamentale supporto alle famiglie che se ne fanno carico direttamente. È la “Riforma dell’assistenza agli anziani non autosufficienti” approvata come Legge delega dal Parlamento nel marzo scorso, di cui entro gennaio 2024 dovranno essere emanati i decreti delegati attuativi. Ma per i quali già oggi occorre individuare le risorse economiche necessarie a renderli concreti, da inserire nella Legge di bilancio che impegnerà Governo e Camere di qui a fine anno. Il Patto per un nuovo welfare sulla non autosufficienza – coordinamento che riunisce 58 associazioni che rappresentano o si occupano a vario titolo di anziani e che ha contribuito notevolmente alla stesura della Legge delega – chiede ora in particolare a Governo e maggioranza di prevedere gli stanziamenti necessari per far partire effettivamente la riforma dal prossimo anno.

L’impegno finanziario progressivo

Nel concreto: il costo complessivo della “rivoluzione” progettata per gli anziani e le loro famiglie è stimato tra i 5 e 7 miliardi di euro aggiuntivi rispetto ai 21,1 già oggi impegnati. Una cifra importante da reperire in tempi di scarsa crescita come l’attuale. La riforma, però, può essere realizzata a moduli e l’impegno finanziario aggiuntivo graduato da 1,3 miliardi per il 2024 a 3,2 nel 2026, fino ad arrivare a 5 miliardi per la fine della legislatura nel 2027. Un percorso tutt’altro che irrealizzabile.

La scelta politica dell’obiettivo

Più che finanziario, però, il vero nodo è politico. Attiene cioè alla volontà di dar corso effettivamente alla svolta dell’assistenza agli anziani. La riforma, infatti, ha una lunghissima e travagliata storia alle spalle ma più di recente, anche grazie alle proposte e alla spinta del “Patto” è divenuta materia condivisa. Passando dal governo Draghi, che ha licenziato un testo della Legge delega a tempo già scaduto, all’esecutivo Meloni che l’ha ulteriormente migliorato e mandato in Parlamento, fino a maggioranza e opposizione che l’hanno approvato senza voti contrari ma solo alcune astensioni. Una genesi condivisa, dunque, che è al tempo stesso forza e debolezza dal punto di vista politico. Finora, infatti, tutti i leader politici hanno trascurato la materia, non rivendicandola come una proposta identitaria o anche solo strategica e così la riforma rischia di godere di tanti consensi ma di non avere padri e madri bene definiti, pronti a battersi per la sua nascita. Sarebbe necessario invece che il governo e la sua maggioranza ne facessero una priorità politica, anche all’interno del più complessivo pacchetto di aiuti alla famiglia già ipotizzato, prevedendo appunto uno stanziamento adeguato per il suo avvio. Come prevede la stessa Legge delega, la riforma può essere introdotta progressivamente riguardo alle risorse da investire e alle prestazioni, ad esempio prevedendo che la nuova indennità di accompagnamento sia introdotta solo per i nuovi richiedenti e, nel giro di qualche anno, arrivare a riguardare tutti gli utenti.

In ogni caso è importante comprendere come si tratti di una svolta doppiamente storica. Anzitutto perché sono decenni ormai che si avverte l’esigenza di innovare e migliorare l’assistenza agli anziani, come d’altro canto hanno già fatto molti Paesi europei già a partire dagli anni ‘90. E soprattutto perché finalmente si affronta con un piano integrato il disagio di una popolazione che invecchia, il peso sopportato dalle famiglie, in un’ottica di miglioramento dell’assistenza e di investimento sulla capacità delle famiglie stesse di curare i propri anziani garantendo però servizi pubblici e interventi privati di qualità. Un progetto di riforma che tra anziani, familiari e operatori del settore riguarda direttamente ben 10 milioni di cittadini.

Il nuovo Sistema nazionale

Per l’avvio concreto della riforma si tratta di far nascere anzitutto il “Sistema Nazionale per la popolazione Anziana non Autosufficiente” (Snaa) che superi anche l’attuale frammentazione di responsabilità degli interventi tra i diversi livelli istituzionali e stabilisca invece un insieme organico di misure nei principali ambiti del welfare per anziani: assistenza domiciliare, servizi residenziali e trasferimenti monetari. Proprio il miglioramento dell’assistenza domiciliare dovrebbe essere il “piatto forte” di un aiuto tangibile alle famiglie. Da un lato con un maggiore contributo alle spese per i/le badanti e, dall’altro, una migliore cura, adeguata ai bisogni dell’anziano, fornita da Asl e Comuni sia in termini sanitari che sociali.

Ad esempio con un’assistenza che vada oltre gli attuali tre mesi in media di prestazioni infermieristiche. Nei servizi residenziali, invece, si punta a elevare la qualità dell’assistenza fornita a coloro che vivono nelle strutture, aumentando il tempo quotidiano che i professionisti della cura dedicano ad ogni anziano. Infine, si dovrebbe partire con la nuova prestazione universale destinata a sostituire l’attuale indennità di accompagnamento. L’impegno è quello di non tagliare il sussidio rispetto a quanto previsto attualmente (527,16 euro al mese) ma di accrescere l’importo per chi versa in condizioni più gravi e comunque a favore di chi sceglie di impiegare l’assegno per ricevere servizi di qualità con contratti di lavoro regolari e certificati. Uno degli obiettivi della manovra è infatti quello di combattere il lavoro nero ampiamente diffuso nel settore ed elevare la qualità dei servizi di assistenza.

Investire risorse per accompagnare in maniera adeguata gli anziani non autosufficienti nell’ultimo tratto della loro vita e dare ai loro familiari gli strumenti per assisterli senza per questo dar fondo alle proprie risorse o dover rinunciare al lavoro, significherebbe sostenere davvero le famiglie e scommettere sulla loro capacità di rispondere ai bisogni in maniera sussidiaria. Qualcosa di molto più importante e tangibile che un bonus benzina o altre misure una tantum. Qualcosa che questo Governo potrebbe a ragione rivendicare come un merito.

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