Auto distrutte al confine tra Russia e Ucraina - Ansa
Quando c’è una guerra il prezzo più alto lo pagano i civili, persone comuni che non sono armate e non combattono ma hanno la sfortuna di vivere in un territorio conteso. Gli esseri umani, però, non sono gli unici a essere danneggiati dai conflitti: le guerre costano caro anche all’ambiente su cui bombardamenti e invasioni hanno enorme impatto. Nelle scorse settimane, per esempio, l’Onu ha inviato una delegazione in Ucraina per rendersi conto di quante foreste e riserve naturali siano state distrutte in due anni di attacchi, vedere i terreni contaminati da sostanze chimiche e farsi un’idea delle emissioni di gas serra rilasciate da migliaia di carri armati in marcia. A gennaio, invece, un gruppo di scienziati americani e inglesi ha calcolato l’impatto che ha avuto sull’ambiente la guerra in corso nella Striscia di Gaza: nei primi due mesi le operazioni militari hanno generato più anidride carbonica di quella prodotta in un anno da venti Stati poveri. Le armi, però, inquinano anche se non scoppia un nuovo conflitto: secondo l’osservatorio “Conflict and Environment”, produrre mezzi di artiglieria e addestrare le forze armate significa rilasciare, ogni anno, il 5,5% delle emissioni globali di gas serra: più dell’inquinamento causato da navi e aerei messi insieme.
A Gaza acqua al fosforo e rifiuti infetti
A Gaza oggi l’aria e il suolo sono contaminati dai residui delle 25mila bombe sganciate da Israele dall’inizio della guerra. L’osservatorio Human Rights Watch ha certificato la presenza di fosforo bianco, una sostanza chimica che avvelena il terreno e l’acqua rendendola fatale per i pesci che ci vivono e gli uomini che la bevono. L’Organizzazione mondiale della sanità si è accorta invece che sono aumentate malattie respiratorie legate ai rifiuti: in guerra salta ogni regola di gestione e smaltimento degli scarti e così oggi le città della Striscia di Gaza assomigliano a discariche a cielo aperto. Nel campo profughi di Khan Younis, prima della guerra la spazzatura accumulata ogni giorno pesava 150 tonnellate, oggi è triplicata e imputridisce tra le macerie. La guerra ha peggiorato una situazione già difficile: da tempo i cambiamenti climatici in Palestina hanno aumentato i periodi di siccità e caldo estremo durante i quali è arduo recuperare acqua o cibo.
Ucraina, nei campi una semina di mine
Un terzo delle foreste nazionali distrutto e migliaia di carcasse di bombe e carri armati abbandonati sul territorio. È questa la fotografia dell’Ucraina dopo più di due anni di guerra, cominciata con l’invasione del Paese da parte dell’esercito russo. Tra febbraio 2022 e giugno 2023, le attività militari hanno rilasciato nell’atmosfera la stessa quantità di anidride carbonica che produce in un anno l’intero Belgio. Inoltre, almeno il 20% del territorio nazionale è cosparso da mine antiuomo che rilasciano nel terreno sostanze tossiche e rendono impossibile coltivare. La situazione peggiore riguarda la zona intorno alla diga di Kakhovka, una struttura che faceva da ostacolo al fiume Dnipro, gli impediva di procedere per il suo corso e di conseguenza creava un enorme serbatoio di acqua. A giugno 2023 un’esplosione ha distrutto la diga da cui è fuoriuscita la stessa quantità d’acqua contenuta nel Lago Maggiore, inondando e contaminando di scorie i campi, distruggendo una riserva naturale e devastando una foresta grande quanto l’Islanda.
La nuova emergenza si chiama ecocidio
Fare il conto dei danni della guerra sull’ambiente non interessa soltanto chi ha a cuore la salute del pianeta, visto che spesso i danni ecologici peggiorano ulteriormente la vita di chi abita in un Paese in guerra. A Gaza, per esempio, i bombardamenti hanno contaminato l’acqua dei fiumi e delle falde con scorie tossiche: è un disastro ecologico (per ripulire il tutto ci vorranno decenni) ma anche un problema per la popolazione, che già fatica a trovare acqua potabile per dissetarsi e deve fare i conti con scorte idriche razionate. In Ucraina invece gli abitanti vicino alla diga di Kakhovka, di cui abbiamo già parlato, non sanno più come sopravvivere: da una delle pianure più fertili del pianeta la zona si è trasformata in un territorio quasi desertico. Per questo danno – quasi certamente causato di proposito dall’esercito di Putin – la Corte penale internazionale potrebbe condannare la Russia per “ecocidio”, ovvero per aver causato un disastro naturale e averlo usato come arma per annientare l’avversario.