Nel grande capannone camminiamo tra decine di tendine. Tra l’una e l’altra poveri giacigli di cartoni, coperte e qualche materasso. Benvenuti ancora una volta nel ghetto di Rosarno. Tra pochi giorni saranno cinque anni dalla rivolta degli immigrati. Era il 7 gennaio 2010 e i lavoratori africani scesero in piazza, anche violentemente, contro lo sfruttamento e la violenza della ’ndrangheta. Da allora nulla o quasi è cambiato. Cinque anni fa gran parte dei migranti erano ammassati nell’ex Opera Sila, azienda mai entrata in funzione e abbandonata. Oggi sono in una "fabbrichetta" (così la chiamano) nel comune di San Ferdinando, accanto a Rosarno. Una delle tante "aziende fantasma" dell’area industriale, prodotto di truffe sui contributi europei. I primi ad usarla sono proprio i migranti. Sono circa cinquecento, tra l’ambiente più grande e alcune stanzette, senza infissi, senza luce, senza riscaldamento. L’acqua è solo al di fuori. Anzi c’è anche dentro, ma è la pioggia che si infiltra «a catinelle tra le giunture del capannone, evidentemente costruito malissimo», denuncia don Roberto Meduri, il giovane parroco di S. Antonio al "Bosco" di Rosarno, la contrada dove cinque anni fa scoppiò la rivolta. Domenica è riuscito a portare ottanta materassi regalati da una signora del Vibonese. Ma non bastano. «Qui ogni giorno arrivano nuovi migranti – dice ancora il sacerdote –. Ancora un centinaio dormono per terra sui cartoni. Solo con qualche coperta che abbiamo portato. Prima non avevano neanche quelle».Non fosse per i volontari della parrocchia, della Caritas diocesana e di altre associazioni, ad aiutare gli immigrati non ci sarebbe nessuno. Qui nella "fabbrichetta" e anche nella tendopoli installata tre anni fa. Dovrebbe ospitare 400 persone ma ormai sono più di ottocento, ma c’è la luce e anche i bagni che però sono intasati perché gli scarichi sono stati costruiti senza pendenza. Ad ottobre sono state abbattute le oltre cento baracche che lo scorso anno erano state costruite attorno alle tende. Baracche sicuramente precarie e insane ma comunque un riparo. Così i migranti hanno deciso di occupare la fabbrica abbandonata. I volontari hanno aiutato a ripristinare l’acqua e hanno messo dei teli neri di plastica come porte delle stanzette. Sono qui tutti i giorni, in particolare Domenico e Gennaro detto "Rambo" per la sua passione per l’atletica. Cercano di stimolarli, qualche volta anche alzando la voce, a tenere pulito e in ordine. «Raccogliamo i rifiuti e poi con una carriola li accumuliamo fuori per farli portare via dal comune che altrimenti qui dentro non verrebbe mai», spiega Gennaro. Comune da poco sciolto per mafia. Ma la preoccupazione maggiore è evitare che nascano nuove baracche, qui e alla tendopoli. «Cerchiamo di convincerli e fino ad ora ci siamo riusciti, tranne per alcune baracche che ospitano spacci e negozietti autogestiti – sottolinea don Roberto –. Ma stanno arrivando altri migranti e se non sarà trovata un’altra soluzione non riusciremo più a impedire che facciano le baracche. Come potremmo farlo? Non me la sento. Cosa gli dico, di dormire all’aperto? Non voglio più celebrare funerali per ragazzi morti di freddo come l’anno scorso». Spiega di aver segnalato questa grave situazione alla Prefettura, «ma mi hanno risposto che senza la denuncia dei proprietari della "fabbrichetta" non possono intervenire. Ma i proprietari ora sono delle banche....». Almeno, aggiunge, «ci portino dei bagni chimici, perché qui i rischi sanitari sono molto alti».Malgrado la crisi economica e la ancor più grave crisi dell’agricoltura calabrese, i migranti continuano ad arrivare a Rosarno e negli altri paesi della Piana di Gioia Tauro. Se l’anno scorso le clementine venivano pagate 20 centesimi al chilo, quest’anno si è scesi a 8. Così la paga del lavoratore migrante è scesa da 25 a 15 euro al giorno. Sempre che si riesca a lavorare. Quando giriamo tra tendopoli e "fabbrichetta" è mattina ma gli africani sono quasi tutti qui. Niente lavoro oggi. E allora qualcuno si avvicina e chiede. «Mi dai due euro, ho fame». Elemosina. Non ci era mai accaduto in tanti anni. Altri mangiano mele. «Ce le ha date il Banco alimentare, sono arrivati due tir di mele e uno di uva», dice Bartolo Mercuri, presidente dell’associazione "Il Cenacolo" di Maropati che da più di 15 anni aiuta i migranti. «Non ne ho mai visti tanti come quest’anno, sono sicuramente più di 2.500, e sono molto più giovani», aggiunge sconsolato. È lui a farci da guida anche quest’anno. Prima una tappa nelle campagne. In una casupola diroccata vivono in cinquanta, senza acqua né luce. Fuori, una accanto all’altra, la latrina (un buco per terra in mezzo ad un telo), e la doccia (altro telo almeno per la privacy). All’interno materassi e vecchie brande. In un ripostiglio anche il tappeto per la preghiera. Ci spostiamo nella zona vecchia di Rosarno, la zona delle "timpe". Casette non finite e diroccate. Qui venne quasi tre anni fa anche l’allora ministro per l’integrazione, Andrea Riccardi. Dopo la sua visita porte e finestre di questa catapecchie vennero murate, ma gli immigrati le hanno sfondate tornando all’interno. E anche qui la novità: «Mi dai due euro, non ho da mangiare...». Bartolo, per tutti "papà Caritas", li invita a venire al centro dell’associazione, dove si preparano pacchi alimentari e di vestiario. Di nuovo solo la presenza del volontariato.Ci spostiamo alla tendopoli dove i volontari della Caritas diocesana riescono a offrire alcuni servizi, dall’assistenza legale alla scuola di italiano, gestita da suor Lina e suor Lidia. L’assistenza sanitaria la fa Emergency che da tre anni ha un ambulatorio a Polistena, in un palazzo confiscato alla ’ndrangheta assegnato alla parrocchia di Santa Marina Vergine, guidata da don Pino Demasi, sacerdote in prima linea sul fronte della legalità e dell’aiuto ai migranti. Alcune tende non reggono più l’acqua ma è toccato ancora una volta ai volontari della parrocchia di S. Antonio rimediare dei teli di plastica. Soli, assolutamente soli. Mentre il flusso dei giovani migrati non accenna a diminuire per riempire ancora una volta i ghetti di Rosarno.