«Paura per la mia persona? Sinceramente non ci ho mai pensato, anche se ho letto anche io la storia delle pistole con il silenziatore a disposizione della banda. Inizialmente mi sono un po’ sentita come Alice nel Paese delle Meraviglie. Convinta di combattere una battaglia politica, anche aspra, preparata a dover contrastare nel mio cammino interessi più o meno nobili. Ma mai avrei potuto pensare di trovarmi al crocevia di traffici e manovre di una vera e propria cupola mafiosa».
Rita Cutini, 53 anni, docente al corso di laurea per assistenti sociali all’università Roma Tre, è l’assessore ai Servizi Sociali del Comune di Roma. Ci incontriamo mercoledì mattina, sul presto, in un bar vicino al suo assessorato, per leggere e commentare i giornali. Cutini proviene dall’esperienza sul campo della Comunità di Sant’Egidio ed è stata chiamata dal sindaco Marino a far parte della sua giunta come indipendente. Il suo nome ricorre nelle intercettazioni dei protagonisti dello scandalo capitolino come persona inavvicinabile e ostile alla cricca che operava all’ombra del Campidoglio. Un 'virgolettato' per tutti, quello di Salvatore Buzzi, il presidente della Cooperativa 29 giugno finito in galera, che chiedeva aiuto in giro, perché «con la Cutini siamo proprio messi male». Le diciamo: per lei queste dichiarazioni sono una medaglia. Sorride, ma si capisce che non ha molta voglia di scherzare. «Ieri – racconta – avevo seguito sulle agenzie e in tv le notizie choccanti. Ma la lettura dei giornali è stata, se possibile, ancora peggiore: c’erano i dettagli, le intercettazioni, i particolari...». È scoraggiata? «Sono sconcertata», è la risposta. Ma dice di vedere nella vicenda anche un lato positivo: «Grazie all’impegno del procuratore Pignatone, con un’indagine seria e approfondita durata due anni, si è finalmente cominciato a fare luce e pulizia sugli intrecci tra affarismo, politica e criminalità organizzata. Roma per fortuna non è più il Porto delle nebbie». Assessore, le chiediamo, ma non ha mai avuto sentore che qualcosa non andava per il verso giusto? «Da quando mi sono insediata e, in particolare dopo un braccio di ferro per la nomina del direttore del mio dipartimento, è stato un crescendo di difficoltà. Talvolta ho avvertito un senso di solitudine. Ho pensato che fossero dinamiche politiche, di potere, magari non belle ma fisiologiche, dovute anche al fatto che non sono legata a nessun partito. Ora che conosco questi fatti, comincio a pensare, con tutte le cautele del caso, che può esserci regia dietro gli attacchi contro di me». Pretendiamo di saperne di più. Cutini sorride: «Non sono un magistrato né un investigatore. Ho solo messo in relazione l’inizio di una campagna contro di me con alcune mie decisioni all’interno dell’assessorato. Era una campagna di delegittimazione strisciante, nessun attacco frontale. Ma ogni volta che si parlava di rimpasto al Comune di Roma, sui giornali il primo nome che compariva come assessore uscente era sempre il mio. E le critiche non avevano mai collegamenti con fatti reali o possibili errori che abbia potuto commettere». Nelle vicende degli scontri a Tor Sapienza, le ricordiamo, il suo nome è stato fatto girare spesso, in modo critico: «Vorrei far notare che non ho io la delega alle periferie, ma comunque abbiamo lavorato per rendere il sistema delle accoglienze più piccolo, capillare e più regolare. In quel centro, nato nel 2011, ho ridotto le presenze della metà e ho qualificato l’accoglienza ». E, dunque, proviamo a insistere, perché tanta ostilità nei suoi confronti? «Posso dire questo: quando sono arrivata, la situazione dell’assessorato era in gran disordine: c’erano 54 milioni fuori bilancio e la parola 'bando di concorso' era quasi sconosciuta. C’erano troppi affidamenti diretti con la motivazione dell’emergenza. In questi mesi ho cercato di riportare ordine ammini-strativo e trasparenza. A qualcuno questo dava fastidio? Io ho imparato molto presto una cosa: che se la macchina amministrativa funziona a pieno regime è molto difficile che possano trovare spazi corruttori e affaristi».