La mafia non conosce crisi, anzi. Licenziamenti e cassintegrazione possono spingere molti lavoratori ad accettare le offerte di manovalanza delle organizzazioni criminali. E le difficoltà di accesso al credito legale fanno crescere il giro d’affari dell’usura. Con un “fatturato” di 135 miliardi di euro per un utile di 70 miliardi, “Mafia Spa” nel 2009 ha rafforzato la sua posizione di prima azienda italiana. A farne le spese sono per primi imprenditori e commercianti, vittime di 1.300 reati ogni giorno, 50 all’ora, quasi uno al minuto. È un panorama che atterrisce quello che emerge dalle 123 pagine del dettagliato dossier annuale della Confesercenti. Il «Rapporto SOS Impresa», arrivato alla XII edizione, analizza i molteplici settori di attività di Cosa nostra e Stidda in Sicilia, ’Ndrangheta in Calabria, Sacra corona unita in Puglia, Camorra in Campania. Senza dimenticare la più recente tra le mafie, i Basilischi, la quinta mafia nata quindici anni fa in Basilicata, a Potenza, rubando il nome all’omonimo film di Lina Wertmuller girato tra i Sassi di Matera. Matrici regionali, ma tentacoli estesi e avvinghiati in tutto il Paese, con segnalazioni di affari sporchi in regioni apparentemente immuni come l’Umbria o il Trentino.Il mondo degli esercizi commerciali è dunque quello in cui l’usura trova principalmente le sue vittime. Il rapporto evidenzia il boom del prestito a strozzo nel 2009: oltre 200mila i commercianti colpiti, con circa 600mila posizioni debitorie, cioè indebitamenti con più strozzini. Nel complesso, un giro d’affari di circa 20 miliardi di euro. Cresce l’usura di giornata: soldi prestati al mattino e ritirati con un interesse del 10% la sera stessa. Di fronte a un fenomeno così invasivo e pericoloso, però, il numero di denunce appare «ancora assai esiguo rispetto alla pericolosità del fenomeno»: solo 5.400 nel 2008. Alla presentazione del rapporto il commissario Antiracket e antiusura del governo, Giosué Marino, constatare «non c’è stata la svolta epocale nelle denunce dopo un’iniziativa meritoria come quella di Confindustria Sicilia», che prevedeva l’espulsione degli imprenditori che non denunciavano il pizzo.Senza variazioni il racket delle estorsioni: 150mila commercianti taglieggiati per complessivi 6 miliardi di euro. Ma la stabilità apparente del settore, secondo Confesercenti, nasconde in realtà una crescita, visto il netto calo degli esercizi commerciali e l’aumento di quelli di proprietà mafiosa. Da segnalare come il racket si adegui ai tempi: oggi è un "pizzo in maschera", perché gli estorsori aprono partite Iva o camuffano l’attività criminale offrendo beni o servizi legali. O gadget costosi e inutili come calendari, penne, agende. Continua anche l’uso di imporre ai commercianti taglieggiati merci, servizi, manodopera. E pizzo sono anche i pagamenti in natura, come banchetti per matrimoni o battesimi "offerti" alle famiglie mafiose.Marco Venturi, presidente di Confesercenti, non ha dubbi: «Malgrado la forte pressione dello Stato e la crisi economica, il bilancio delle mafie continua a crescere. Con i 24 miliardi del giro di affari di usura e racket si potrebbero realizzare almeno 200mila posti di lavoro e liberare molti ragazzi dal controllo criminale».Se usura ed estorsioni sono la piaga del commercio, al primo posto degli interessi mafiosi resta l’edilizia in tutte le sue fasi. Costante l’attenzione alle attività commerciali e turistiche con particolare riguardo al
franchising ed alla media e grande distribuzione. È grande infatti l’interesse delle mafie sui centri commerciali, funzionali al riciclaggio di denaro sporco, grazie al grande flusso di contante fresco. Resta un classico dell’attività criminale il settore dei giochi e delle scommesse.Una vera miniera sono mercati ortofrutticoli, tradizionale luogo di affari delle mafie. L’intero comparto agricolo, anche a causa della crisi che porta al Sud migliaia di immigrati senza lavoro – Rosarno insegna – rischia più di altri di essere aggredito dalle mafie. La mafia non dimentica i nuovi settori: crescono le frodi informatiche e la clonazione di carte di credito. La crisi non sembra toccare il mercato del falso, che movimenta 7,8 miliardi di euro l’anno. Il 50% del fatturato dell’industria del falso si riferisce a capi d’abbigliamento e moda, seguito da pirateria musicale, audiovisivi e software. Senza dimenticare il contrabbando: dalle sigarette, ai reperti archeologici, al gasolio da Tunisi.