Le bare dimenticate nel cimitero dell'isola - .
Il Mediterraneo visto dall'iconico monumento della porta d'Europa è sempre calmo, come 20 giorni fa quando arrivò un’ondata di sbarchi con pochi precedenti. Eppure a Lampedusa i numeri sono improvvisamente calati. I tunisini negli ultimi giorni si sono prevalentemente diretti a Pantelleria e a Pozzallo, mentre sull’isola pelagica sono state salvate in meno di 100 ore circa un migliaio persone perlopiù partite dalla Libia. Anche ieri è arrivato un invalido, il quarto in una settimana. E l’hotspot di Contrada Imbriacola ora si svuota rapidamente. Solo i morti non possono lasciare l’isola, bloccati nelle bare chiuse e ormai maleodoranti dalle vergognose lungaggini burocratiche. Cambiate anche le nazionalità di passaggio nel centro. Non più guineani, ivoriani, maliani e tunisini partiti dal golfo di Gabes su barchini di ferro e gommoni, nelle ultime ore sono arrivati dalla Libia in proporzioni ridotte sudanesi, eritrei ed etiopi, siriani, pachistani, egiziani e bengalesi su barchini di legno e gommoni. Dei 1 38 mila migranti finora sbarcati in Italia, quasi il doppio dell’anno scorso, circa 70 mila negli ultimi tre mesi sono passati da Lampedusa. L’85% sono partiti dalla Tunisia, il 15 dalla Libia.
Le partenze dunque non si fermano, ma evidentemente la regia ha cambiato la scena. Probabilmente è un gesto di buona volontà da parte tunisina che reclama i pagamenti dell’accordo di luglio dall'Ue dopo lo tsunami che ha sconvolto l'isola riportando il calendario al 2013. Le motovedette di Capitaneria e Finanza hanno salvato 258 persone nella notte tra sabato domenica e 156 ieri. Arrivati in silenzio, il loro urlo di gioia per essere sopravvissuti al deserto, agli abusi dei trafficanti e alla navigazione sulla rotta più pericolosa del globale si è perso tra le spiagge ancora affollate davanti al mare cristallino o nella movida della sera lampedusana in una via Roma affollata di turisti che si godono questa interminabile estate senza che sia minimamente scalfita l’immagine dell’isola. Questa è la normalità con cui Lampedusa convive da decenni, inutile continuare a gridare all'emergenza nel Mediterraneo centrale, dove ormai la questione è strutturale. Come dice l'Oim, ente Onu per le migrazioni, l'emergenza sull'isola si genera portando su un'area di 20 chilometri quadrati tutti i migranti soccorsi, mentre prima venivano distribuiti in altre sedi in Sicilia.
Per avere il polso della situazione si deve entrare nel centro di contrada Imbriacola. Alle dieci e trenta di una domenica mattina laboriosa sono ospitati 510 migranti e 280 sono appena stati trasferiti in traghetto ad Agrigento. Ci accoglie Tony Carollo, operatore della Croce rossa, la quale gestisce l’hotspot da giugno. La procedura, oltre ai controlli sanitari, prevede un kit per l’igiene personale e un cambio d’abito per ciascuno.
«In questo momento - spiega - i trasferimenti sono più semplici date le buone condizioni meteo. Famiglie, donne e minori vengono separati e identificati. I mediatori spiegano dove si trovano perché molti non lo sanno e ci chiedono dove sia la stazione». Seduti, aspettano di fare il colloquio eritrei e sudanesi fuggiti da guerre recenti e già dimenticate e dittature antiche. E poi siriani, egiziani, asiatici. Sono salpati da Al Zawiya, in Libia, hanno pagato 5mila dollari a testa per la traversata. Quelli partiti da Zuara, sempre in Libia, hanno pagato invece tariffe differenziate: tremila dollari i siriani, quattro mila i bengalesi e settemila gli egiziani. Resta il problema nascosto dei minori non accompagnati, l’8% degli arrivi, che spesso ai colloqui nell’hotspot non dichiarano la vera età per paura di venire bloccati e poi a Ventimiglia vengono respinti dai francesi.
A Lampedusa convivono le memorie di tragedie vecchie e nuove del mare mortum, come lo ha chiamato papa Francesco a Marsiglia riferendosi ai 30 mila morti che sono probabilmente la punta di un grosso iceberg. La costante è la burocrazia che dei morti perde memoria e continua a calpestarne la dignità rinviando la sepoltura. Per avere un'idea dell'orrore bisogna entrare nel cimitero vecchio dove sei bare, alcune addirittura dal 31 agosto sono ferme in una camera mortuaria piccola e vergognosamente non refrigerata. Sei bare in attesa di trasferimento al caldo, chiuse. Due sono bianche, di bambini. Uno è stato partorito morto sul molo, un altro di cinque mesi è affogato al largo. Attendono almeno un cimitero italiano che li accolga e l'odore di morte nello stanzino consiglierebbe di accelerare le operazioni. Ma forse non è tempo di pietà.
«Non ci siamo abituati alla morte - spiega il giovane sindaco Filippo Mannino -, da 30 anni qui salviamo in mare chi sta annegando e nei momenti di sovraffollamento del centro abbiamo accolto e aperto le porte delle case senza paura a chi aveva fame o avena bisogno di una doccia. Ma vedo che in Italia stiamo perdendo la parte emotiva, non fa più impressione la morte di persone che partono e muoiono nel Mediterraneo. Quando vengono le istituzioni, c'è il rischio che facciano la passerella, ma ho sempre la speranza che la presenza sul molo Favaloro , dove sbarcano i cadaveri dei bambini e le mamme partoriscono, aiuti a capire più che le chiacchiere in un salotto romano o di Bruxelles. Qualcosa ho l'impressione che stia cambiando, si può governare il fenomeno, dobbiamo decidere come. La riprova? Con la stessa bonaccia sono arrivate due settimane fa fa 10 mila persone e oggi neanche mille. Ma non possiamo diventare il campo profughi d'Europa, siamo contrari all’apertura di un altro centro di accoglienza o a una tendopoli. Siamo un territorio di 20 chilometri quadri, non ce lo possiamo permettere. Ho lottato per avere un ginecologo e un pediatra fissi, non riusciamo a garantire i servizi essenziali agli abitanti. La soluzione è trasferire in fretta i migranti in luoghi più idonei. Altrimenti si scatena la guerra tra poveri».
Buona parte di chi è passato da Lampedusa tra qualche settimana proverà a passare in Francia. Il loro viaggio non si ferma perché il fattore di attrazione non sono le navi che salvano, ma la povertà e la guerra che si sta diffondendo come una pandemia.