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Inizia oggi un viaggio a tappe sull’impegno dei cattolici in politica. Approfondimenti, interviste, esperienze e contributi per individuare le difficoltà dell’impegno nell’attuale contesto politico e per mettere a fuoco piste di impegno condiviso. Le tesi e le “ricette” in campo sono molte: c’è chi parla di «diaspora» e chi invece invoca l’esigenza di una ricostruzione dal basso partendo da quello che già esiste, c’è chi ritiene cruciale incoraggiare la presenza dei credenti già impegnati nei partiti-cardine dell’attuale bipolarismo e chi invece spinge sul ruolo “equilibratore” di un terzo polo. Di certo, è impossibile mettere da parte la cultura della partecipazione e della responsabilità che è alla base del cattolicesimo politico in tutte le sue forme.
Correva l’anno 1994, era il 18 gennaio di 30 anni fa. La Democrazia cristiana - fondata mezzo secolo prima, nel 1943, da Alcide De Gasperi, all’inizio della travagliata transizione dalla caduta del Regime alla nascita della Repubblica - scrisse la parola fine in un incontro all’istituto Sturzo in cui l’ultimo segretario Mino Martinazzoli, dopo una relazione dello storico Gabriele De Rosa, lanciò un appello a convergere nel nascente Partito popolare. La chiusura fu sancita politicamente dal Consiglio nazionale del partito, senza una vera e propria deliberazione giuridica, al punto che ancora oggi c’è chi ne teorizza il suo essere ancora in vita proclamandosene, con tanto di carta bollata, erede legittimo.
La data scelta non era casuale, ricorrendo quel giorno i tre quarti di secolo dalla fondazione, il 18 gennaio 1919, a seguito del celebre “appello ai liberi e forti” da parte di don Luigi Sturzo, del Partito popolare, poi chiuso da Benito Mussolini. Come non casuale fu l’appuntamento che in quello stesso giorno si diedero - nello studio del notaio romano Francesco Colistra - Silvio Berlusconi, Antonio Tajani, Antonio Martino, Luigi Caligaris e Mario Valducci per dar vita a Forza Italia. E nemmeno casuale fu l’annuncio dato qualche ora prima, in un albergo romano, della nascita del Centro cristiano democratico ad opera di un gruppo di dirigenti democristiani: Pierferdinando Casini, Clemente Mastella, Francesco D’Onofrio, Sandro Fontana e Ombretta Fumagalli Carulli.
Finiva così la storia cinquantenaria del partito-Stato che ha vinto tutti i turni elettorali, ad eccezione di quello europeo del 1984, sull’onda emotiva della tragica fine nel pieno della campagna elettorale di Enrico Berlinguer. Ma forse è più calzante e generosa la definizione di Agostino Giovagnoli di “partito italiano” a sottolinearne l’aspetto popolare, il grande radicamento sociale, più che nel Palazzo.
Ma dallo scudo crociato allo scudo “incrociato”, è un attimo. Hanno fatto seguito trent’anni passati fra nostalgia e tentativi, rivelatisi tutti più o meno velleitari, di rilanciare con nomi diversi, o persino con quello stesso nome e con lo stesso simbolo conteso, l’esperienza dell’unità politica dei cattolici.
Falliti questi tentativi, se non uniti sotto lo stesso simbolo, si è detto, si poteva essere uniti almeno come popolo e come orizzonte ideale, con significative convergenze programmatiche da ricercare sui valori di fondo. Dalla vita alla famiglia, dalla solidarietà alla dignità della persona. Centrali nella Dottrina sociale della Chiesa ma anche nella nostra Costituzione, su iniziativa proprio di un manipolo di intellettuali e giuristi cattolici, in un percorso andato da Camaldoli alla Costituente. Macché. La divaricazione politica ha scavato solchi sempre più profondi, rendendo “simpatici” i compagni di strada, e “nemici” gli avversari politici, mentre l’appartenenza comune al popolo di Dio è stata spesso brandita come una “aggravante” invece che come stimolo a ritrovare percorsi comuni. Laddove il metodo del dialogo e della condivisione, usato di recente per l’adozione unanime dell’assegno unico per i figli, è lì a dimostrare che mettere al centro il bene comune - e non la “nemicità” propellente del consenso di parte - è un metodo persino conveniente, se per convenienza si intende, appunto, il benessere di un popolo e non della propria parte.
Ai giorni della diaspora hanno fatto seguito quelli della - presunta - irrilevanza dei cattolici. C’è anche chi ha teorizzato come la politica guerreggiata, a suon di tweet e battute sferzanti, non sia più un posto per cattolici.
Ne scaturisce una riflessione curiosa, con un retrogusto amaro. A guardare ai vertici delle istituzioni europee degli ultimi anni, fra gli esempi più luminosi che possono essere evocati, c’è quello del compianto David Sassoli, mentre è sotto gli occhi di tutti l’autorevolezza dell’attuale presidente della Repubblica, prova ne è l’ultima, corale e sincera adesione ai contenuti del massaggio di fine anno. Due esponenti della cultura cattolico-democratica vicini all’insegnamento dei padri costituenti (si pensi, in particolare, al legame di Sassoli con La Pira e di Mattarella con Moro) mentre è di tutta evidenza, denunciata di recente da Pierluigi Castagnetti, la sottovalutazione della componente cattolico-popolare, esclusa dal gruppo dirigente del Pd.
Sul fronte opposto si registra un fenomeno simile e al tempo stesso opposto. Simile è la marginalizzazione di apporti provenienti dall’associazionismo e dall’impegno nel sociale, in un contesto in cui alcuni valori cristiani, non tutti a dire il vero, vengono invece tenuti in primissimo piano. Esibiti, e qualche volta usati, direttamente dai loro capi.
Tanti i tentativi “cattolici” che si sono fronteggiati in questi anni, in quel centro falcidiato da ultimo dalle liti perenni fra Renzi e Calenda. Dagli incontri di Todi a Insieme, il partito lanciato da Stefano Zamagni, dal Popolo della Famiglia di Mario Adinolfi a Base popolare, nuova formazione lanciata da Gateano Quagliariello, Giuseppe De Mita, Mario Mauro, Lorenzo Dellai, Marco Follini e Giorgio Merlo.
Sul fronte moderato del centrodestra c’è l’Udc, che ha ereditato lo scudo crociato, mentre tanti cattolici hanno preferito confluire dentro Forza Italia e più di recente nel progetto conservatore di Giorgia Meloni, in cui Gianfraco Rotondi ha portato la sua “Rivoluzione cristiana”. Sul versante opposto vari tentativi si sono alternati. Interessante l’apporto di Demos (guidata da Paolo Ciani e Mario Giro) nelle liste del Pd, con qualche significativo exploit elettorale, come quello - nello scorso turno europeo - di Pietro Bartolo il medico dei migranti, con 135 mila preferenze.
L’irrilevanza dei cattolici è stata messa a tema, con tanto di punto interrogativo, in un incontro tenutosi in università a Bologna nell’ottobre del 2022. Un pubblico, prevalentemente giovanile, di circa mille persone, tanto numeroso, a sera tarda, che indusse il cardinale Matteo Zuppi a definire i cattolici «magari irrilevanti, ma certo non disinteressati». Nel ruolo di pubblico ministero in un confronto a tratti duro, tuttavia non banale, l’intestatario del copyright della tesi dell’irrilevanza, Ernesto Galli della Loggia, sul banco degli “imputati”, invece, i presidenti di Cl e Sant’Egidio, Davide Prosperi e Marco Impagliazzo e lo stesso presidente della Cei, a difendersi dall’accusa, rivolta al mondo cattolico, di non esser riuscito a trovare risposte, nella strategia e persino nel linguaggio, all’altezza della sfida della secolarizzazione. In quella sede Zuppi evocando papa Benedetto e papa Francesco parlò dei cattolici come «minoranza creativa, che deve saper parlare con tutti, senza che questo comporti l’essere d’accordo con tutti. Si può essere avversari ma non “nemici”». Ma l’avversario per tutti deve essere «una politica senza visione, fatta per i propri interessi, come occupazione del potere». Quanto alla strategia dell’impegno cristiano, la premessa necessaria, per Zuppi, «è essere cristiani. Può sembrare un po’ banale. Ma i primi cristiani costituenti furono per lo più mandati dai loro vescovi a fare politica. Era gente che faceva altre cose, erano cristiani che si sono trovati a vivere l’impegno politico, è lì il nodo. Riscoprire la bellezza dell’essere cristiani, fare del Vangelo un qualcosa che entra nella vita delle persone, con l’impegno e l’amore politico».
La sfida è lanciata, per dirla con Francesco De Gregori: «La storia siamo noi, nessuno si senta escluso». Ultimamente a fronte di tentativi a livello centrale che stentano a decollare, si susseguono iniziative “dal basso” sul piano locale. In Basilicata la candidatura di Angelo Chiorazzo, fondatore della cooperativa Auxilium, si rivela subito aggregante, con l’adesione immediata di Demos e il sostegno della rete “Persone e comunità”, attiva e presente nella limitrofa Campania. Mentre in Sardegna si registra una alleanza a sorpresa fra il Popolo della Famiglia di Mario Adinolfi e la Dc di Totò Cuffaro.
Ma come favorire la partecipazione alla vita pubblica, anche a livello centrale? Tutti ad applaudire Mattarella per il messaggio di fine anno, ma forse il primo segno di apertura della politica ai tanti esempi virtuosi di solidarietà potrebbe venire da una nuova legge elettorale che consenta ai cittadini di tornare a premiare i migliori. I più “prossimi” e non i fedeli dei capi premiati con un posto nelle liste bloccate.