Il segretario generale della Cisl, Luigi Sbarra - Imagoeconomica
Segretario Luigi Sbarra, perché la Cisl si oppone all’annuncio fatto dalla premier Meloni di ulteriore privatizzazione di Poste e Fs, mantenendo però il controllo in mano pubblica?
Siamo contrari ad una stagione di saldi di Stato, che negli anni Novanta ha già creato danni irreversibili ai nostri asset strategici. Penso al settore delle telecomunicazioni o all’agroalimentare. Se l’idea è svendere ulteriori quote di Poste o di altre aziende pubbliche, la Cisl si opporrà.
In che modo?
Prima di assumere qualunque decisione va aperto uno spazio di confronto tra governo e parti sociali. Qui si parla non solo di “quanto chiedere” per i gioielli di famiglia, ma anche del ruolo che lo Stato vuole avere nel futuro industriale ed economico del Paese. Più che privatizzare facciamo partecipare i lavoratori alla gestione delle proprie aziende.
Finora le privatizzazioni fatte in queste società non hanno dato buoni risultati?
È stato un processo non privo di contraddizioni che ha di fatto frenato il loro sviluppo e gli investimenti. Si sono messe sul mercato aziende pubbliche importanti senza alcun disegno serio di democrazia economica e senza introdurre condizionalità nella governance, quando invece si sarebbe dovuto spostare il baricentro della sovranità decisionale dal capitale al lavoro. Questo è il senso della nostra proposta di legge sulla partecipazione sulla quale abbiamo raccolto centinaia di migliaia di firme. Speriamo che sia approvata presto in maniera bipartisan.
Il presidente del Consiglio alla stampa ha detto di voler confermare nel 2025 il cuneo fiscale ridotto agendo sul lato dei tagli alla spesa. In realtà, però, la conferma per quest’anno è stata fatto alzando il deficit. C’è da preoccuparsi?
Il modo migliore per recuperare risorse è stimolare la crescita sbloccando investimenti e facendo redistribuzione. Se la via è poi anche quella dei tagli, bisogna che la relativa mappatura sia fatta con il sindacato. Ci sono miliardi di fondi erogati e distribuiti a pioggia.
Appunto. Non si possono tagliare?
Si deve valutare insieme la rimodulazione di questa spesa, per ricavarne doti a sostegno di lavoratori, pensionati e imprese socialmente responsabili, che applicano i contratti, fanno contrattazione decentrata, esercitano la partecipazione. Le risorse si possono prendere anche introducendo un contributo di solidarietà da estendere a multinazionali della logistica e dell’economia digitale, colossi della farmaceutica. Si deve incrementare il prelievo da grandi rendite immobiliari e finanziarie. Ed avviare una lotta senza quartiere all’evasione e all’elusione, che sottraggono quasi 90 miliardi. Quanto alla materia fiscale, oltre a confermare strutturalmente il taglio del cuneo, abbassando le prime aliquote Irpef, bisogna innalzare ulteriormente la “no tax area”.
Siete soddisfatti di quanto fatto in materia di contratti?
Abbiamo rinnovato contratti importanti, ma nel 2024 bisogna fare di più. Ci sono 31 contratti in attesa di rinnovo. Tra i settori più rilevanti: sanità, scuola e in generale pubblico impiego. Poi, nel privato, terziario, commercio e servizi, che occupa quasi 2,5 milioni di lavoratori, turismo, metalmeccanici, industria e cooperazione alimentare, per circa 300mila occupati. Nell’area artigianato altri 9 contratti, per un totale di oltre un milione di addetti. Se i salari non crescono è perché in molti comparti i contratti non si rinnovano da lunghissimo tempo. Bisogna sviluppare il secondo livello e le forme di partecipazione promuovendo con sostegni pubblici l’innovazione contrattuale e la responsabilità sociale delle imprese.
Teme gli effetti della riforma del Patto di stabilità Ue?
È una mediazione sofferta, al ribasso rispetto all’iniziale proposta della Commissione, e che nasconde non poche insidie. Abbiamo un preoccupante rallentamento del Pil. Un quadro che impone massicce contromisure e che va gestito con una consapevolezza: ovvero che non sarà più possibile intervenire con la leva del deficit. Bisogna puntare sulla crescita e concentrare le risorse sui nodi che frenano da tempo investimenti, riforme, coesione.
La Cisl continua a invocare un nuovo Patto sociale. In realtà, dal governo non arrivano però segnali.
È apprezzabile la disponibilità della presidente Meloni a metter mano in modo organico sulle regole previdenziali, cominciando dal costruire una pensione di garanzia per i giovani, come chiede la Cisl. Siamo pronti a incontrare il governo anche domattina, con le nostre proposte. Ma bisogna allargare questo metodo. Il governo non può perdere questa opportunità se vuole riprendere sentieri di crescita.
Quali sono i punti principali di questa vostra agenda?
Bisogna rilanciare il potere d’acquisto e difendere i risparmi di lavoratori e pensionati. Occorre investire su sanità e scuola. Dobbiamo dare stabilità e qualità al lavoro - la flessibilità deve costare di più - e impulso alle politiche attive. Gli investimenti vanno accelerati rafforzando la governance partecipata del Pnrr a partire dai territori, così come occorre aumentare le risorse contro la povertà e per la non autosufficienza. Bisogna dare seguito agli impegni presi per dare forma a una strategia nazionale per la sicurezza in tutti i luoghi di lavoro e dare profondità al tavolo previdenziale per introdurre forti dosi di flessibilità e inclusività, guardando all’obiettivo del superamento definitivo della “legge Fornero”.
È circolata la voce di una di una offerta di Forza Italia per una sua candidatura alle elezioni europee. Quanto c’è di vero?
Ho letto anche io, stupito, questa ipotesi del tutto fantasiosa. Il mio impegno è rimanere alla guida della Cisl, tra i lavoratori e pensionati, per conquistare risultati. Andiamo avanti perché questo 2024 sia davvero quello della svolta, senza farci distrarre da creativi retroscena.
Come vede il 2024 e quale dono vorrebbe da quest’anno?
Sarà un anno complicato. Bisogna remare tutti nella stessa direzione e trasformare in progresso, crescita e conquiste sociali le epocali spinte del cambiamento. Sarei molto contento se arrivasse la piena attuazione dell’articolo 46 della Costituzione, con il pieno riconoscimento del diritto dei lavoratori a partecipare da protagonisti alla vita, agli utili e alle decisioni della loro impresa.