mercoledì 9 luglio 2014
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Il Seveso che esonda a Milano ormai ha quasi il sapore di una tassa da pagare ogni tot: si sa che se piove insistentemente (non un nubifragio, solo una pioggia duratura) case, cantine, strade e negozi diventeranno paludi. I sindaci si succedono e promettono, le opposizioni si scagliano a turno, le giunte a turno si giustificano... e nulla cambia. Inefficienza o reale impossibilità di risolvere? «Le esondazioni sono anche un fatto naturale, ma fino al secondo dopoguerra erano comunque rare. Dagli anni ’60 a Milano si sono intensificate e ormai avvengono con una frequenza evidente – spiega Gianfranco Becciu, professore associato di Costruzioni idrauliche al Politecnico di Milano –. Non è che prima piovesse meno, è che è cambiata l’urbanizzazione... ». Colpa nostra, quindi? Diciamo che per necessità abbiamo modificato il territorio. La causa principale di questi disastri è il grande sviluppo urbanistico avvenuto nella zona a nord-ovest di Milano: molte superfici un tempo naturali, che assorbivano la pioggia e rallentavano l’afflusso, regolandolo e distribuendolo in tempi più lenti, oggi sono impermeabili.Una pioggia non violentissima ma persistente, quella che ha allagato Milano. Le piogge lunghe sono gli eventi più pericolosi perché i bacini idrografici si saturano. Le piogge normali ma di lunga durata attraverso la rete fognaria scaricano nel Seveso, nell’Olona, nel Lambro tutti i loro eccessi, in un’area che è estremamente urbanizzata. Perché le amministrazioni cittadine non riescono a risolvere un problema circoscritto e che in altre città non esiste? A Milano nord i problemi sono tanti. I ca- nali che un tempo erano a cielo aperto (Seveso, Olona, Martesana...) sono stati interrati e questo influisce moltissimo: il Seveso, quando arriva in città e si infila sotto terra, imbocca un canale la cui portata è di soli 30 metri cubi al secondo, mentre la portata del corso d’acqua è già superiore anche in eventi non straordinari. Che cosa si è già fatto, per risolvere? Nel 1980 per proteggere Milano fu costruito un canale scolmatore in modo da convogliare verso il Ticino le portate superiori dell’Olona, del Seveso e di altri corsi d’acqua minori, ma questo riesce a deviare solo una parte delle acque in arrivo da monte. Così in seguito la Regione Lombardia, con l’Autorità di bacino, ha previsto interventi per raddoppiarne la capacità... Il progetto, che comunque è ancora in fieri, è stato poi ridotto e invece del raddoppio ora si parla di aumentarne la capacità del 20%... Sarà un intervento non risolutivo, come vede, che potrà solo limitare in parte le esondazioni a Milano, perché il problema vero resta ed è quello dell’urbanizzazione. Che cosa sarebbe risolutivo e va fatto, invece? Bisogna trasformare parte delle aree impermeabili in permeabili. Non c’è una sola grande opera risolutiva, ma un insieme di interventi: aumentare le aree verdi o di infiltrazione, all’asfalto sostituire dove possibile aree pavimentate con sottostrutture drenanti, ad esempio in parcheggi e cortili interni. E poi convogliare la maggior parte delle acque raccolte dai tetti in pozzi di infiltrazione, così da restituire l’acqua direttamente alla falda freatica affinché non scorra in superficie e non confluisca nelle fognature. Altra cosa fondamentale sono i tetti verdi, cioè ricoperti di strati di terreno e coltivati... a Milano ce ne sono pochissimi, se si diffondessero su tutti i palazzi assorbirebbero come spugne l’acqua in eccesso. Splendida utopia? No, cose semplici e fattibilissime. Purché si cominci. A New York già nel 2011 il sindaco Bloomberg conti alla mano ha investito miliardi di dollari dando incentivi e forti sconti sulle tariffe del sistema idrico integrato ai cittadini che costruiscono tetti verdi. Ridisegnare la rete fognaria e ricreare aree verdi in città gli sarebbe costato molto di più. In Italia sembrano sogni romantici, all’estero sono già realtà. Forse nelle province più avanzate e attente all’ambiente, come il Trentino e l’Alto Adige... In effetti le società che producono tetti verdi sono proprio a Trento, dove servono meno. Diffonderle ovunque è doveroso: in definitiva, l’unica soluzione davvero efficace su lungo termine è pensare una strategia di trasformazione urbanistica, da qui non si scappa. E poi c’è l’annoso problema della pulitura dei tombini. E degli alvei dei fiumi. La manutenzione dei tombini avviene, ma è molto complessa in una città grande come Milano. Se poi gli alvei dei fiumi non vengono ripuliti, siamo punto a capo: il Seveso entra da Bresso e imbocca sotto terra la via Melchiorre Gioia, portando con sé i sedimenti trasportati dal fiume, così la capacità del canale diminuisce ancora. L’antico sogno di riaprire i Navigli aiuterebbe? Io sarei favorevole. Ormai non più per il trasporto, come avvenne quando i marmi per costruire il Duomo arrivarono via acqua, ma almeno a fini turistici ed estetici. I progetti ci sono...

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