sabato 15 febbraio 2025
L’intervento del presidente del Comitato per le Settimane sociali: «Pluralismo tra i cattolici. Le polarizzazioni immiseriscono, spesso ci siamo feriti tra credenti. L'astensionismo? Atterrisce»
L'arcivescovo Luigi Renna

L'arcivescovo Luigi Renna - Romano Siciliani

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«Atterriti dall’astensionismo» e impegnati a «rigenerare la partecipazione». Quella che descrive monsignor Luigi Renna, arcivescovo di Catania e presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane sociali, aprendo in videocollegamento la seconda giornata della costituente “La rete di Trieste. (Perfino) più di un partito”, al Th Hotel Carpegna di Roma, è l’immagine una Chiesa che si fa carico di una crisi che attraversa la società italiana, e non solo. C’è una indisponibilità crescente a farsi carico del bisogno dell’altro e i cristiani non possono ripiegare anche loro nel “privato”, nell’indifferenza, a prezzo di rendere inconsistente, e non riconoscibile, la fede che li anima. Renna porta i saluti e la «grande stima» del presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, verso i cattolici impegnati in questa particolare forma di carità. «Ciascuno di voi - dice monsignor Renna - incarna la profezia nel suo impegno per il bene comune, ognuno di voi è impegnato nel proprio territorio, ha le sue radici nella formazione cristiana. La prospettiva più ampia che ci accomuna è il bene del Paese, dell’Europa, del mondo. A questa ampiezza ci richiama la dottrina sociale della Chiesa». Nel solco di una lunga tradizione che ha visto «uomini e donne dare il loro prezioso apporto di pensiero e impegno, con sacrificio e alle volte il martirio».
Questa Rete di Trieste è un fiore nato spontaneamente nella Settimana sociale. Renna la definisce una «“sorpresa dello Spirito”: nei tanti mesi in cui abbiamo lavorato con il comitato scientifico - riconosce - non abbiamo previsto un incontro con gli amministratori, ma evidentemente il Signore sa scrivere anche ciò che è inedito nelle nostre vite, o ciò che non riusciamo a prevedere».
Lo strumento è inedito, imprevisto, ma la “postura”, le sollecitazioni a cui risponde sono venute dai pastori e dalla Settimana sociale stessa. Per questo ora 400 amministratori dal vivo, ancor di più quelli collegati da remoto, hanno deciso di darsi da fare, di rimboccarsi le maniche.
Si tratta di «condividere in luoghi di confronto e dialogo», anche perché in passato «ci siamo feriti tra credenti, dando spazio più alle nostre appartenenze partitiche e politiche e meno alla nostra comune appartenenza al Vangelo», sottolinea Renna in uno dei passaggi più incisivi del suo intervento. «La Rete di Trieste - chiarisce - non costituisce l’avvio di un processo per la costituzione di un movimento politico, o di un partito, né vuole escludere qualcuno. Mi raccomando - scandisce di nuovo -: non vuole escludere qualcuno. Ma coltiva l’intento di includere in maniera trasversale quanti amministrano la cosa pubblica o sono impegnati nella partecipazione alla vita democratica dei territori, avendo chiaro il riferimento per le loro scelte ai principi della dottrina sociale della Chiesa. Se siamo qui è perché, in fondo, quella dottrina ha inciso nelle nostre coscienze».
E allora le scelte di campo diverse da problema, da espediente usato per dividere il popolo di Dio per fini politici di parte, possono diventare invece opportunità, arricchimento reciproco, a beneficio di tutti,«in un pluralismo di scelte partitiche da parte dei cattolici - sottolinea Renna -, che non vogliamo piegare ad un progetto univoco, ma accompagnare a realizzare opere di giustizia e carità».
No, quindi, a “comode” contrapposizioni ideologiche che spezzettano la dottrina sociale e in qualche modo anche la dignità dell’uomo: «Non possiamo divederci su valori – la difesa dell’embrione, della vita, del lavoro, dei migranti – che sono un tutto». E questo dialogo «avviato a Trieste farà bene non solo ai credenti, ma al nostro Paese». L’invito è a «camminare insieme, senza cedere a chi vorrebbe vederci divisi anche nel dialogo fuori dai partiti».
Occorre, quindi, un sano «discernimento», tra «veri e falsi profeti», nello spirito del Vangelo di Matteo: «Vengono a voi in veste di pecore, ma in realtà sono lupi rapaci». Profeti «sono coloro che coltivano le speranze e mantengono viva l’attesa del Messia». Occorre saper distinguere fra «l’ingordigia del lupo e la mitezza dell’agnello, tra coloro che illudono e hanno secondi fini e chi invece lascia avanzare il regno di Dio»
Viene sempre in aiuto la parola di Dio, che illumina le due giornate di Roma per «misurare il proprio impegno sulle attese più importanti, che per noi credenti sono quelle delle Beatitudini, e per rispondere alle esigenze che vengono dal grido dei poveri, che è un tutt’uno con il grido della terra». Il frutto non è la politica, «ma il bene della polis e la politica è lo strumento».
Bisogna allargare l’orizzonte e portare avanti il «sogno di un’Europa che ha garantito pace e sviluppo».
In questo impegno, certo, «le polarizzazioni non aiutano». Ma «se voi siete qui, è perché non avete gettato la spugna nell’impegno a formarvi». E «il recente richiamo del presidente Mattarella a Marsiglia è evidentemente molto scomodo per chi non vuole leggere in maniera sapienziale la storia. Non si possono creare muri. Il sogno dell’Europa non può tramontare o fare passi indietro».
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