L'arcivescovo di Torino, monsignor Roberto Repole - -
Tra i primi ad inviare un messaggio sofferto di vicinanza della comunità diocesana ai familiari delle vittime dell’incidente di Brandizzo l’arcivescovo di Torino, monsignor Roberto Repole, in questi momenti sta seguendo le indagini. Intanto la Regione Piemonte, in concomitanza dei funerali delle vittime di cui ancora non si conosce la data, ha proclamato una giornata di lutto regionale con bandiere a mezz’asta e in cui verranno invitati tutti i piemontesi ad osservare un minuto di silenzio.
Monsignor Repole, il mese di agosto che ci lasciamo alle spalle ha funestato la nostra diocesi prima per la tragedia di due donne che si sono tolte la vita nel carcere torinese ed ora per la morte di cinque operai travolti a Brandizzo da un treno in corsa mentre erano al lavoro. Per entrambe le vicende lei ha avuto subito parole di conforto per le famiglie colpite ma anche di sgomento rivolte alla comunità cristiana e civile: «Non possiamo stare a guardare, non si può morire così». Qual è il suo stato d’animo di pastore e di padre?
Il primo sentimento è veramente di compassione per tutti coloro che sono coinvolti, per le vittime, i familiari, i due macchinisti, persone che sono legate in qualche modo a filo doppio a chi ha perso la vita. Possiamo avere l’occasione di sentire di più che c’è una comunanza di destino, che siamo tutti legati e la fragilità, la vulnerabilità che avvertiamo in questi momenti con la compassione nei confronti delle persone che sono coinvolte, ci fa dire davvero che, in modi diversi, siamo una comunità. Un altro sentimento che mi pervade è il senso di ingiustizia e quindi anche il bisogno di redenzione che si rende manifesto. Dobbiamo riflettere anche come cristiani, soprattutto oggi come cristiani post-moderni, molto spesso propensi soltanto a mettere in evidenza la bellezza della vita la vitalità e via di seguito… Ma quando ci si mette dalla parte delle vittime si percepisce di più anche il senso di bisogno di redenzione: le morti di Brandizzo e drammi simili ci devono far riflettere come cristiani che le vittime non sono lontane ma sono anche qui, in mezzo a noi, e su cui spesso chiudiamo gli occhi.
Sono a decine le persone che si fermano davanti ai fiori deposti alla stazione di Brandizzo dal capo dello Stato Mattarella in omaggio ai 5 operai travolti e uccisi dal treno - Ansa
Il presidente Mattarella giovedì è subito accorso alla stazione di Brandizzo a deporre una corona di fiori affermando che è: «Un oltraggio morire sul lavoro, un oltraggio ai valori della convivenza». Il Papa, mentre si metteva in viaggio per la Mongolia, pregando per gli operai deceduti, ha ricordato che «Gli incidenti sul lavoro sono una calamità e un’ingiustizia, è sempre per una mancanza di cura: I lavoratori sono sacri». Come commenta queste parole?
Sia l’intervento del presidente Mattarella che quello del Papa pongono in evidenza la necessità di rimettere al centro la dignità delle persone e di riflettere in maniera profonda su come il lavoro permetta di realizzare la dignità delle persone e non, all’inverso, possa calpestare la dignità delle persone. I lavoratori sono sacri dice il Papa. E però, anche se oggi si parla tanto di lavoro e molti lo esaltano come valore fondamentale della nostra Repubblica, non è così sempre scontato: non qualunque lavoro, non a qualunque condizione.
Il cardinal Martini, di cui il 31 agosto abbiamo ricordato gli 11 anni dalla scomparsa, indicava che il ruolo della Chiesa nel terzo Millennio – sconvolto da guerre, calamità naturali, disgrazie come quelle a cui abbiamo assistito questa estate – è quello della consolazione. Come consolare i familiari colpiti da lutti come quello di Brandizzo, dei suicidi in carcere, delle giovani stuprate a Palermo e a Caivano?
Momenti di grande sofferenza come questi ci riportano al centro del Vangelo e a riprendere coscienza che, alla fine, ha diritto di rompere il silenzio soltanto la parola della Croce e della Risurrezione. E quindi prendere coscienza che questo davvero può essere consolante non in modo superficiale, ma aprendo questa vita all’orizzonte dell’eternità. E io penso che sia l’unica parola che possa essere proferita soprattutto nei confronti dei familiari delle vittime: che Gesù è passato attraverso un dolore come quello che queste persone stanno vivendo, che Maria sua madre ha perso un figlio, così come hanno sofferto i suoi amici e familiari. Una parola che consola perché la vita veramente va al di là della morte perché Gesù è risorto ed è la primizia di ciò che attende l’umanità.
La diocesi di Torino annovera tra i suoi «santi sociali» anche un ferroviere, Paolo Pio Perazzo. Lui come don Bosco, il Murialdo (di cui Perazzo era collaboratore nelle Unioni operaie cattoliche) e tanti altri, hanno speso la loro vita perché il lavoro per i giovani fosse dignitoso, regolare, sicuro. Quale richiamo alla comunità civile per incoraggiare i giovani – Kevin, uno degli operai morti a Brandizzo aveva 22 anni – che si avviano non senza difficoltà a trovare un’occupazione che generi vita e futuro?
La nostra società secolarizzata sembra fare tranquillamente a meno di Dio però poi si crea idoli che diventano dei moloch che ci stritolano. Ad esempio uno degli idoli è che certi regolamenti socio-economici devono andare per forza così a dispetto di tutto anche quando vengono calpestate le persone. Allora mi sembra che noi possiamo veramente guardare al futuro dei giovani se diventiamo un po’ meno idolatrici, se la società civile diventa un po’ meno idolatrica. Perché altrimenti offriremo magari un lavoro ma un lavoro che non riesce a dare dignità alle persone: parliamo di Dio, di mettere al centro la persona e poi idolatriamo le leggi socio-economiche… ma chi l’ha detto che debba andare così? Dunque raccogliere l’eredità dei nostri Santi sociali per i giovani oggi è mettere in evidenza questo, un messaggio ancora molto attuale.