Non solo studenti in cerca di fortuna o giovani manager disposti a tutto per scalare i piani alti dei grattacieli della City. A Londra, ultima spiaggia della crisi italiana, son sbarcati anche Salvatore, Flavia, Giuseppe. Figli e disperazione a carico. Salvatore, oltre che coi piccoli di 8 e 10 anni, è partito da Siracusa addirittura con la madre ultrasettantenne e il fratello «ma non c’era scelta, ci siamo mossi per questione di sopravvivenza». Nel senso che, rimasto a casa in mobilità lui, di soldi per vivere non ce n’erano più abbastanza. Giuseppe di ragazzi ne ha tre: «Hanno 25, 23 e 22 anni, sono tutti disoccupati e non conoscono l’inglese. Qui forse avranno una possibilità...». Addio Italia: se è vero (e le stime sono quelle dell’ambasciata) che ogni due giorni a Londra atterra un aereo carico di connazionali per sommarsi agli oltre 500mila presenti in città – una città come Genova trasferita d’un colpo all’estero –, tra questi sempre più spesso ci sono famiglie. Segnate dalla disoccupazione o dal divorzio, stremate dalla povertà. Più spesso, semplicemente, prive di altre vie d’uscita.
«Ho 46 anni, sono rimasta sola con un ragazzino di 13 anni. Col mio stipendio non arrivo nemmeno a metà mese, non ho nessuno. E mio figlio io voglio mantenerlo». La lettera finisce nel mazzo, sul tavolo della St Peter’s church. Cosa c’entra, una parrocchia, con il boom di emigrazione italiana a Londra bisogna chiederlo a Francesco Di Rosario. Che di mestiere fa l’ingegnere civile, ma nel tempo libero ha deciso di aiutare quelli che – come lui 7 anni fa – arrivano in città e non sanno da che parte girarsi. «Londra come Lampedusa», esagera lui. «Di naufragi qui non ce ne sono, è ovvio, ma l’umanità che incontriamo è ugualmente interrotta, azzerata». La verità è che un paio d’anni fa, nella chiesa italiana più antica della città, si affacciava una decina di italiani al mese. Ora dieci, a volte quindici sono le richieste di aiuto a settimana. Secondo gli ultimi dati elaborati da Migrantes e incrociati con quelli dell’Aire (l’Anagrafe della popolazione italiana residente all’estero) soltanto nel 2013 gli italiani partiti alla volta del Tamigi sono stati quasi 13mila. Nel 2012 la conta si era fermata a 7.500. Un’impennata silenziosa del 71% in un anno.
Il problema? A Londra – magnificata dai media nostrani, tutta finanza e famiglia reale – nell’80% dei casi si arriva senza sapere dove e come vivere il giorno dopo. «E magari pensando che l’inglese imparato alle superiori basti per arrangiarsi». Quando poi ci sono dei bambini di mezzo, l’avventura diventa emergenza. «Col nostro progetto stiamo cercando di intercettare proprio questo flusso di “disperati” – spiega Francesco –. Mi riferisco a quelli che partono all’improvviso, spesso senza avere nemmeno i soldi per tornare se qualcosa dovesse andare storto. A loro, cui chiediamo di contattarci per mail e raccontarci la loro storia, diciamo prima di tutto di aspettare, di non partire». Troppo tardi, per molti. E "Benvenuto a bordo", il progetto della St Peter’s church, assomiglia più a un’àncora di salvezza che a un biglietto di ingresso. Lo sportello, che ha aperto otto mesi fa, svolge la sua funzione soprattutto online: opuscoli e miniere di dati orientano gli italiani desiderosi di trasferirsi a Londra. Cattolici e non, s’intende: il servizio è aperto a tutti. Ci sono istruzioni per l’uso di ogni genere: per imparare la lingua, cercare una casa, sostenere un colloquio di lavoro, telefonare e muoversi coi mezzi pubblici. «E poi ci sono le informazioni specifiche per le famiglie – spiega Francesco –. Molti quando arrivano a Londra pensano che iscrivere i figli a scuola o portarli dal pediatra sia immediato, come avviene in Italia. Non è così e il rischio è quello che i piccoli restino tagliati fuori, per esempio dal sistema educativo, che in Inghilterra ha costi elevati».
Il sito filtra le richieste, ma non basta. In assenza d’altri punti di appoggio (solo il consolato ha avviato un suo progetto in collaborazione con quello della chiesa, che si chiama "Primo approdo"), gli italiani finiscono per sbarcare alla St Peter’s anche fisicamente: «Organizziamo un incontro ogni martedì. Noi siamo un gruppo di volontari, ci alterniamo nella gestione del sito e nell’accoglienza dei connazionali, facciamo quello che possiamo», spiega Francesco. Vaglielo a spiegare, a quelli che arrivano con la valigia, che alla St Peter’s non si può dormire e che il parroco – padre Andrea Fulco ha sostituito da poco il vulcanico padre Carmelo di Giovanni, rientrato a Roma per raggiunti limiti di età – non trova lavoro. «C’è gente che arriva qui direttamente dall’aeroporto, senza aver pensato a una sistemazione per la notte per sé e per i figli. Ora, visto la mole impressionante di richieste, abbiamo messo a punto un volantino salvavita che si può scaricare sempre dal sito o ritirare in parrocchia: ci abbiamo condensato tutte le dritte e i consigli per chi arriva a Londra». E poi ci sono quelli che, prima che in chiesa, sono finiti nella ragnatela delle truffe e dei raggiri: sul web fioccano siti di agenzie che propongono invitanti pacchetti “tutto compreso” (viaggio, sistemazione e perfino lavoro). «Abbiamo trovato annunci che, in cambio di 400 sterline, offrono agli italiani un posto letto e un contratto. Ovviamente, una volta dato quell’anticipo, l’agente sparisce coi soldi e il link si dissolve», spiegano i ragazzi della St Peter’s. Il fenomeno delle truffe cresce con l’emigrazione italiana «e ciò che è più triste – racconta ancora Francesco – è che la maggior parte di queste agenzie sono gestite proprio da italiani. Il nostro vademecum vuole aiutare chi arriva anche a non cadere in certe trappole: per esempio aprire un conto corrente in Inghilterra è un’operazione che si può fare da soli, in pochi minuti». Le agenzie, invece, vendono anche quel servizio: 30 o 40 sterline.
Una ragazza vaga nell’atrio col foglio in mano: «Tutto utilissimo, ma ora non so dove andare...». Si chiama Linda, ha 20 anni. Francesco le chiede come pensava di fare, per la notte. Lei abbassa la testa e resta in silenzio. «Questa è la parte più difficile. Potete scriverlo per favore, sul giornale, che Londra non è l’Eldorado e che prima di partire bisogna almeno pensare?».