Il viaggio nel deserto dell’accoglienza italiana è un ritorno all’anno zero. «Vuole sapere come si sentono i nostri operatori, in prima linea con i migranti? Hanno paura per il proprio futuro, sentono parlare di "mangiatoia" e dicono: vengano da noi a vedere come si lavora» racconta Mauro Lusetti, presidente dell’Alleanza delle cooperative, che da sola rappresenta l’8% del Pil italiano, 1,3 milioni di lavoratori e circa 12 milioni di soci.
«Si sta distruggendo un sistema diffuso che aveva funzionato, grazie alla collaborazione di tutti: sindaci, mondo della cooperazione, istituzioni centrali» continua il numero uno di Legacoop. «Si è chiusa una stagione» gli fa eco Stefano Granata, presidente di Confcooperative Federsolidarietà. La verità è che il fallimento annunciato (e voluto) delle politiche di integrazione per gli stranieri, per effetto del decreto sicurezza, rappresenta soltanto il primo tempo della partita: in gioco oltre al futuro del settore, c’è soprattutto il volto (ormai mutato) delle comunità italiane, dei nostri paesi e delle nostre città.
I tagli e i costi sociali
Dalla riduzione dei fondi per le misure alternative al carcere ai propositi sulle case famiglia, dalla mancanza dei decreti attuativi sulla riforma del terzo settore al caso mai chiuso delle Ong in mare, è in atto un tentativo di delimitare nuovamente i confini di quella che una volta si sarebbe chiamata "società civile", riportando innanzitutto cooperative sociali e mondo del volontariato (con relativi utenti) negli spazi angusti della riserva indiana. «Sono a rischio, secondo i nostri calcoli, 15-20mila posti di lavoro – spiega Lusetti –. Si tratta di psicologi, educatori, persone che fanno lavori umili di assistenza, giovani laureati che gestiscono corsi di italiano per stranieri, mediatori culturali».
Di «impatto occupazionale importante» parla anche Confcooperative, che guarda soprattutto alla deriva indiretta in atto in tutti i servizi sociali localizzati sul territorio. «Il decreto sicurezza ha dato il segnale, ora il problema sarà la diminuzione delle risorse a disposizione degli enti locali. Ci saranno tagli orizzontali, non verticali – sottolinea Granata – e aumenteranno inevitabilmente i costi sociali per le comunità». Oggi è richiesta solo la presa in carico di base del soggetto a rischio, nulla di più. «Sui migranti sono richieste ad esempio soltanto prestazioni alberghiere, per questo ci stiamo tirando fuori dai bandi» continua il presidente di Confcooperative Federsolidarietà.
«Con tutto il rispetto per chi fa questi mestieri, non siamo né ristoratori né albergatori» concorda Lusetti. Alla qualità, sancita nel Protocollo per la Buona accoglienza siglato due anni fa con Anci e Viminale, si è sostituita l’economicità del servizio offerto, mentre si sono invertiti i ruoli. Ora è lo Stato che chiede sacrifici al terzo settore, «mentre prima usava le cooperative come bancomat, facendoci anticipare i soldi per l’ospitalità: spesso l’erogazione dei famigerati 35 euro a migrante avveniva anche un anno dopo i tempi previsti» osserva il presidente di Legacoop, senza dimenticare molti esempi virtuosi di collaborazione tra prefetture e cooperative sociali nelle situazioni di emergenza.
Stretto tra una componente di governo (i Cinque stelle) che fatica a comprendere il valore del principio di sussidiarietà, tendendo ad accentrare tutto sullo Stato, e l’altra forza politica (la Lega) che vuole lucrare consensi dalla contrapposizione italiani/stranieri, il mondo della cooperazione cerca così di rinegoziare il proprio ruolo. «Chiediamo un incontro al ministro Salvini subito dopo il voto» sostiene il presidente dell’Alleanza, mentre per Granata «quanto sta accadendo è sì il segno di un impoverimento culturale evidente, ma insieme è anche un’occasione per le nostre realtà di ripensarsi complessivamente».
Prove di sopravvivenza
Cosa sta accadendo, nel frattempo? «Cerchiamo di tenere in piedi le esperienze migliori della cooperazione attraverso la costituzione di fondi di solidarietà e gli accordi col mondo del volontariato – osserva Lusetti –. Vogliamo evitare che tante persone vengano lasciate in mezzo alla strada, si tratti di migranti, anziani o disabili. Ci rendiamo conto della domanda di sicurezza che si leva dalle nostre comunità, ma vorremmo che camminasse di pari passo con il bisogno di solidarietà».
Senza accoglienza, è il timore, si creeranno condizioni per nuovi tipi di sfruttamento, nelle strade, nei campi e nelle case. «Questo governo fa fatica a capire che le cooperative possono essere ad esempio un veicolo per l’inserimento lavoratorivo dei detenuti» sottolinea Granata, riferendosi al taglio dei fondi per le misure alternative, anche se è stato lo stesso Guardasigilli Alfonso Bonafede a rassicurare Legacoop sulla necessità di un aiuto ad hoc per le persone in prigione. «È una situazione estremamente confusa, con molti elementi di contraddizione» è la sintesi.
Nel frattempo, nessun timore sui controlli al settore e volontà ribadita di isolare i casi di malagestione. «Però chiediamo anche una moratoria su affermazioni becere come quelle che abbiamo sentito in questi giorni. Massima disponibilità a confrontarci con tutti, ma non potremo continuare a lungo a subire questi atteggiamenti di cecità e arroganza. Vengano a fare i controlli – conclude Lusetti – ma vengano presto: in gioco c’è la nostra sopravvivenza e il futuro delle comunità in cui viviamo».