Antonio Iodice in una vecchia immagine, a una udienza con Giovanni Paolo II - Ansa
Il racconto di una lunga esperienza in politica, e nella formazione culturale "pre-politica", che scaturisce da una «preoccupazione profonda», maturata in questi ultimi anni, «per la crisi della democrazia che è in atto sullo scenario internazionale». Per questo Antonio Iodice, deputato ed eurodeputato della Dc, poi a lungo direttore dell'istituto di Studi politici San Pio V, di cui è ancora presidente onorario, ha deciso di raccontarsi nel libro, pubblicato dall'editore napoletano Guida, Memoria, identità, crisi. Un viaggio tra le istituzioni e il Paese reale.
Un racconto ambientato nella fase finale della cosiddetta Prima Repubblica, ma che ne ripropone le origini, quando all'impegno politico si arrivava a coronamento di una formazione al bene comune avvenuta spesso in ambito culturale o nell'associazionismo, soprattutto di matrice cristiana. Il primo Parlamento repubblicano nel 1948, in epoca di analfabetismo ancora di massa, poteva contare su una classe parlamentare laureata per oltre il 91% ed è singolare che nelle ultime legislature, con ben altre percentuali date dalla scolarizzazione di massa nel frattempo intervenuta, lo stesso dato si riveli molto più basso, intorno al 70%. Certo, il livello di istruzione è un misuratore molto parziale della preparazione di una classe dirigente, ma è pur sempre rivelatore di come si sia andata perdendo nel tempo la capacità, o la possibilità – vedi le ultime leggi elettorali – di selezionare i parlamentari per merito e competenze.
«Il primo trentennio della Repubblica- spiega Iodice - fu caratterizzato da una fase di grande espansione, sul piano economico, ma anche di grandi ideali nell'agire politico. Ma soprattutto di grande affermazone del metodo democratico, che oggi sembra come smarrito, anche ai massimi livelli, sulla scena internazionale, e risulta affievolito nella stessa consapevolezza delle giovani generazioni».
Emblematico, per Iodice, il primo impatto con la politica, nella sua terra natale, scaturito dalla richiesta del suo vescovo, Antonio Cece, di portare un elemento di chiarezza nella campagna elettorale della cittadina limitrofa di Caivano che vedeva arruolato come capolista, nel partito comunista, il presidente della Giac della diocesi di Aversa, la gioventù di Azione Cattolica, incarico che Iodice assumerà poi dal 1964, arrivando anche a una responsabilità nazionale, come consigliere superiore, tre anni dopo. Ma la sua “carriera” in Ac si fermerà lì, il contemporaneo impegno politico divenuto ormai prevalente, determinerà in lui la necessità di una scelta di campo, andando dietro a due fascinazioni. Una indiretta, virtuale, verso Alcide De Gasperi e una diretta, vissuta di persona, verso Aldo Moro: decisivo un incontro con lui, nel 1977, ancor più decisiva la sua tragica fine, l’anno successivo. Dal 1984 al 1994, Iodice è stato deputato per una sola legislatura e deputato europeo per due. Il suo è il racconto dettagliato ed appassionato, da scrittore e giornalista, di un decennio a Strasburgo che ha segnato il delicato passaggio all'Unione monetaria, e di un biennio da deputato nella legislatura breve segnata dall'esplosione di Manipulite. Poi il lungo impegno nell'istituto di Studi politici San Pio V, nel cui ambito è tuttora direttore responsabile della trimestrale Rivista di studi politici.
Le origini del suo impegno politico raccontano di un incontro-scontro con il partito comunista vissuto già in casa. Il padre era stato dirigente del Pci, Ermenegildo di nome, “Gigino” di soprannome e Alberto come nome di battaglia nel Cln, eroe delle Quattro giornate di Napoli. Si ritroverà, per questa sua militanza, al centro nel dopoguerra di una vicenda giudiziaria (per via di una ingiusta accusa che lo porterà anche alla latitanza fino a esserne del tutto scagionato) e si concluderà con un pellegrinaggio alla Madonna di Montevergine, in virtù di una conversione che lo riallineò al resto della famiglia. Un esempio, per Iodice, quel padre inizialmente così distante: da lui prese la passione politica e il coraggio di rischiare per un ideale, nel servizio alla comunità. Da una parte l'esperienza in Azione cattolica, dall'altra la viva partecipazione all'evoluzione politica del padre, il suo antifascismo, il suo esser comunista e la disillusione, maturata nel tempo, per l'inaccettabilità del modello sovietico che trasformava un ideale di giustizia e libertà, in un regime liberticida e oppressivo. Iodice crescerà attingendo non solo ai testi formativi dell'Ac, ma anche a quelli che avevano avevano ispirato il percorso di disillusione e conversione del padre. Come Ho scelto la libertà, il libro di Victor Kravchenko, attualmente introvabile, in cui questo esponente della nomenklatura fattosi dissidente ante litteram denunciava le nefandezze del regime sovietico. Per il giovane Iodice fu prima uno sbirciare furtivo nelle letture del padre, poi ne verrà fuori una discussione bella e illuminante con lui. Kravchenko sarà "eliminato" dal Kgb, nel 1966, a 23 anni dal suo "tradimento", e due anni prima dalla tragica repressione della Primavera di Praga, nel 1968, che tolse ogni residuo dubbio sulla natura dispostica del regime sovietico.
«Non poteva accettare, dopo aver lottato e pagato di persona per combattere una dittatura, di esser finito dentro un'altra che, con i migliori propositi di giustizia ed eguaglianza, si era rivelata non meno crudele e liberticida».
Forse è solo un caso, ma la scelta di Iodice per l'impegno definitivo in politica (partendo dal consiglio comunale della sua città, Giugliano), interrompendo per incompatibilità quello in Ac (con grande dispiacere per il suo riferimento, Mario Agnes), maturerà nel 1970, proprio l'anno della prematura scomparsa del padre, a 67 anni, che nel tempo aveva ormai scelto l'impegno in parrocchia, e in politica si era "convertito" alla Dc.