venerdì 2 settembre 2011
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«Il carcere? Troppo, francamente troppo». Renzo Arbore prova a riflettere sul pugno di ferro deciso dal governo contro l’evasione. Concorda che «qualcosa va fatto». Ammette che un «inasprimento delle pene può anche essere necessario». Ma non basta. La vera sfida è un’altra: «Una profonda rivoluzione nel modo di pensare. E dall’alto della mia vecchiezza sono fiducioso. Serve un forte risveglio delle coscienze che già intravedo». Lo show-man si ferma e riparte: «Proprio in un momento come questo in cui il senso di legalità sembra crollare vedo le basi per una ripresa. È stato sempre così nella nostra Italia e così sarà ancora». Arbore magistrato mancato, amante della legalità e contribuente record. «È una storia che non ho mai raccontato a nessuno. Con Giovanni Falcone a Roma si era creata una sorta di compagnia di giro. Ci si vedeva la sera, in casa di amici: c’erano magistrati e uomini di spettacolo. Ricordo Giuseppe Ayala e il mio amico Italo Ormanni, l’organizzatore. E poi c’era Corrado, Luciano De Crescenzo, Vittorio Marsiglia... Falcone impazziva per le canzoni napoletane». Arbore parte da lontano. «... Il Messaggero pubblicò l’elenco dei primi dieci contribuenti di Roma fra cui c’ero anch’io, Falcone mi stuzzica: "Naturalmente guadagni molto di più...". Io rispondo secco: "Giovanni, perché dici così? Pago fino all’ultima lira".Rispose piccato a Falcone?Ma non voleva essere una risposta polemica. Al contrario: era una dichiarazione di stima a un servitore dello Stato, da parte di un contribuente che in lui vedeva il simbolo della legalità.Un contribuente nella top ten, peraltro.Sì, era il mio momento d’oro, ai grandi introiti televisivi (per "Indietro tutta" e "Doc") si aggiungevano i diritti d’autore. Fra Rai e Siae era tutto dichiarato, anche se non avevo ancora l’Orchestra italiana. E poi, tenga conto, che se non avessi fatto l’uomo di spettacolo avrei voluto fare il magistrato, dopo la laurea in legge.Una delle lauree più inutili della storia, visto il lavoro che fa.Invece si sbaglia: mi ha lasciato tanti insegnamenti, una sensibilità sociale... Come la "lezione" di nonno Lorenzo, di cui porto il nome. Lui, funzionario comunale, a Foggia veniva avvicinato per strada da tante persone alla ricerca di favori, ma mi diceva: "Non ho mai fatto niente che non fosse nella legalità".Ora ha rischiato di dover pagare pure il contributo di solidarietà.L’avrei fatto con convinzione: se bisogna tenere in piedi questo Paese uno sforzo ulteriore va fatto. Almeno da chi può. Forse 90mila era troppo, ma chi guadagna oltre 150mila potrebbe pagarlo.Tanto più che lei è un single impenitente.Ma conosco il valore della famiglia, l’importanza e il peso di allevare dei figli. Occorrerebbero meccanismi di maggiore equità fiscale verso le famiglie numerose.Che giudizio dà di questo bubbone dell’evasione?A inseguire quelle cifre astronomiche mi sono perso. Ma una cosa l’ho capita: se pagassero tutti non ci sarebbero problemi per l’Italia e si potrebbe alleggerire il peso su chi non ce la fa.Sarà, ma ci siamo dentro da decenni...È un problema di mentalità, abbiamo coltivato l’idea che frodare, arraffare, a destra come a sinistra, fosse normale. Ma mi creda, la battaglia si può ancora vincere. E Internet può avere un ruolo provvidenziale per aprire una nuova stagione. Vedo in giro meno fiducia nell’ideologia dei consumi. Vedo un nuovo fermento giovanile: forse è la crisi, ma credo che un grande contributo sia venuto dall’insegnamento della Chiesa e del Papa. Sono queste le cose che mi rendono fiducioso.Ora però si rischia di toccare anche la privacy.Qualcosa bisogna pur fare. Ma ripeto: senza esagerare. Abbassare a 2.500 euro la soglia di tracciabilità dei pagamenti può bastare. Non scendiamo più giù. Altrimenti non mi sentirei nemmeno libero di fare un regalo a mio nipote.
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