domenica 14 luglio 2024
Alberghi e ristoranti “no kids” si moltiplicano, anche in Italia: attirano una clientela benestante e insofferente a urla e capricci
Secchiello e ombrellone giganti per dare il benvenuto (in questo caso) ai bambini su una spiaggia di Rimini

Secchiello e ombrellone giganti per dare il benvenuto (in questo caso) ai bambini su una spiaggia di Rimini - Ansa

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«Vorrei riservare un tavolo per due persone. E non vorrei bambini di mezzo». La richiesta pronunciata nella cornetta suona stranissima, non così sembra alle orecchie dell’interlocutore all’altro capo del telefono. Il cameriere di un ristorante della capitale prende la prenotazione senza fare una piega e dice solo: «Per che ora?».

Già: sono pochi ormai a non essersi accorti che negli ultimi anni si sono moltiplicate le attività commerciali “senza bambini”. E per tanti ristoranti, alberghi e compagnie aeree la concisa definizione inglese no kids è un’etichetta come un’altra. Lo stesso sarebbe, per dire, se ci fosse scritto gluten free o vegano, e in effetti con la medesima naturalezza la definizione viene affissa in vetrina o sui menù di questo o quel locale, contribuendo a normalizzare il concetto e a smorzarne la portata.

Su Internet, d’altronde, da qualche mese è nato un portale tutto dedicato a bed and breakfast e case vacanze per soli adulti. «Vuoi abbandonarti su un lettino e leggere un libro senza urla e capricci? – recita il claim – Scegli un hotel childfree e scopri il vero significato di relax». Ne chiamiamo uno dei tanti che – si apprende scrollando la pagina dei risultati – sono oltre 200 anche nella Penisola delle famiglie, sparsi dal Trentino-Alto Adige che detiene il record con 60 strutture elencate alla Sardegna che ne conta 22. Escludiamo i resort, resi esclusivi dal prezzo ben più che dalle regole, e la scelta cade su un agriturismo nel Chianti, classificato nella rete degli alloggi ecosostenibili. Qui sono benvenuti solo ospiti dai 14 anni in su ma c’è spazio per piccoli cani. Ci proviamo comunque: sul sito ufficiale non c’è traccia della restrizione per età e la tripla è disponibile proprio nel weekend in cui tentiamo la prenotazione. «Buongiorno, siamo in due più un bambino di cinque anni». «Eh no, signora, mi spiace – si sente rispondere – accogliamo bambini a partire dai 14 anni, arrivederci» taglia corto l’operatrice. Chiediamo ragione della scelta a un’attività simile e poco lontana che, però, non ha voglia di spiegare e riattacca bruscamente.

Le motivazioni, per fortuna, qualcuno le scrive nero su bianco. Un hotel in Alto Adige spiega: «Spesso ci pongono la domanda perché abbiamo deciso di ospitare esclusivamente adulti. Il motivo non è che non amiamo i bambini. Al contrario, i bambini sono qualcosa di meraviglioso e arricchiscono la nostra vita. Tuttavia, sappiamo anche che alcuni dei nostri ospiti vogliono trascorrere le vacanze in una zona molto tranquilla. Così come ci sono specialisti per le vacanze in famiglia, hotel solo per coppie o per congressi, noi vogliamo essere il punto di riferimento per coloro che scelgono di viaggiare senza i bambini. Qui non troverete bambini che giocano nella sala da pranzo o nella hall dell’hotel. Non fanno schiamazzi nella piscina o nell’area benessere. Anche i genitori, che per una volta desiderano dedicare tempo per se stessi godranno proprio questa atmosfera di pace e tranquillità».

Nessuna discriminazione, insomma, ma una semplice differenziazione dell’offerta. D’altronde, vedendola dall’altro lato, sia in Italia sia all’estero sono diffusissime le strutture che offrono una sistemazione su misura per genitori e bambini e prevedono, per esempio, servizi di animazione e baby sitting ma anche fasciatoi e seggioloni. Opzioni di cui fanno a meno gli alberghi solo per adulti che, come accessori extra, offrono invece silenzio e zero seccature, tra cui figurano urla e capricci dei bambini. Propri o altrui.

Non tutti però la pensano così. «Volevo organizzare una cena tra amici dopo qualche mese dalla nascita del mio primo figlio – racconta Melissa – e ho contattato un ristorante della mia città, poco fuori Milano. Mi sono messa nei panni dei ristoratori e, per permettere loro di gestire meglio gli spazi, prima di prenotare ho specificato che mi sarei presentata con una carrozzina. Pensavo di far loro un favore; invece mi hanno risposto malissimo dicendo che perlomeno si auguravano che “il passeggino fosse piccolo”. Avrebbero detto lo stesso a un disabile?».

La domanda è legittima e pone un tema che spesso si accende sui social e nelle chat, suscitando soprattutto commenti indignati per le implicazioni morali del divieto che, invece, – pare immergendosi in questo mondo – in tanti casi è una scelta dettata in primis da motivazioni prettamente economiche nonché da una precisa volontà di posizionamento sul mercato. I locali no kids intercettano una domanda, che oggi esiste ben più di ieri, come alcuni approfondimenti e saggi hanno fotografato.

C’è una categoria di persone che non hanno figli e non li vogliono. E questo oltre a essere un gruppo interessante per le scienze sociali si trasforma anche, seguendo la legge della domanda e dell’offerta, in una nicchia di mercato definita e per giunta particolarmente appetibile, visto che – suggeriscono i dati sui consumi degli americani pubblicati dalla Federal Reserve nel 2023 – le coppie che scelgono di non avere figli in media hanno redditi maggiori e godono di patrimoni più consistenti rispetto ad altre categorie sociali: denaro che scelgono di investire, tra le altre cose, in viaggi più numerosi ed esclusivi di una famiglia media.

«I bambini – riporta dunque il discorso alla pratica una influencer dedita alla divulgazione di temi legati alla genitorialità – nei ristoranti pesano meno economicamente (in media con una pasta al burro ci caviamo due figli) e sono l’incubo dei camerieri. Quindi, che facciamo noi? Non usciamo, non viaggiamo, non disturbiamo e stiamo a casa nostra?».

Ma no – è la sintesi dell’altro pensiero che corre abbondante nelle chat – però le famiglie meglio farebbero a frequentare gli hotel specializzati, dotati di tutto ciò di cui hanno bisogno i più piccoli oppure dovrebbero provare a far comportare i propri figli in modo più educato. In ogni caso non dovrebbero lamentarsi se chi ne ha la possibilità sceglie di girare alla larga dai bambini. «Quest’estate – esemplifica un utente – sono andata in un resort in cui i bambini sotto ai 18 anni non erano ammessi. È stata una pace… Poi ho trascorso un’altra settimana in uno stabilimento in cui non c’erano divieti: non è passato nemmeno un giorno senza che le urla dei bambini e dei genitori disturbassero chi era intorno a loro. Non faccio di tutta l’erba un fascio ma non tutti i genitori sono persone educate e se posso sto il più lontano possibile da tutto ciò».

All’estero la tendenza degli alloggi suddivisi per età pare già più radicata e conseguentemente il dibattito sopito. In Sud Corea, per esempio, quest’estate molti alberghi consentono a tutti di alloggiare ma limitano le ore di accesso alla piscina per i minorenni oppure ne vietano l’ingresso tout court ai bambini. Anche alcune compagnie aeree si sono attrezzate in questo senso, visto che i neonati che piangono o fanno i capricci durante il volo sono considerati una iattura da molti viaggiatori. La Japan Airlines ha introdotto una funzione premium nel suo sistema di prenotazione dei posti che mostra dove sono seduti i bambini con meno di 2 anni e permette di evitarli. Dallo scorso autunno anche la compagnia turca Corendon Airlines  fa qualcosa di simile, dando la possibilità ai clienti di pagare un sovrapprezzo per aggiudicarsi un biglietto nella zona “only adult”.

È curioso che in questo caso l’opzione sia stata salutata con favore praticamente da tutti, compresi i genitori, i quali però hanno rilevato: perché definire “solo per adulti” lo spazio riservato a chi vuole la pace assicurata? Siamo sicuri che un’età più avanzata sia garanzia di un comportamento impeccabile? Forse per chi non vuole scocciature, in viaggio o in vacanza, basterebbe offrire una soluzione generica (tipo le “carrozze del silenzio”) dove è vietato fare rumore e chi contravviene alle regole pattuite, adulto o bambino, viene allontanato dimostrando che la maleducazione non è una questione di età.

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