Lo stabilimento Ilva di Taranto
«La tutela della vita dei lavoratori viene prima delle esigenze dell'iniziativa economica». Lo ha ribadito la Corte Costituzionale, nella sentenza 58, depositata ieri, con cui ha dichiarato incostituzionale il cosiddetto “decreto Ilva“ del 2015, con cui il Governo autorizzava la prosecuzione dell'attività dell'altoforno dello stabilimento Ilva di Taranto, sequestrato dalla magistratura dopo un infortunio mortale subito da un lavoratore esposto, senza adeguate protezioni, ad attività pericolose. Il decreto si fondava sul presupposto che la prosecuzione dell'attività produttiva fosse di «interesse strategico nazionale». «il legislatore - si legge in un comunicato della Corte Costituzionale - aveva disposto la prosecuzione dell’attività di impresa, alla sola condizione che entro trenta giorni la parte privata colpita dal sequestro approntasse un piano di intervento contenente “misure e attività aggiuntive, anche di tipo provvisorio”, non meglio definite».
«Tutelare la salute e l'ambiente»
Già nel 2013, la Consulta aveva affrontato un caso simile con la sentenza 85, in cui si stabiliva che il legislatore, «pur in presenza di sequestri dell’autorità giudiziaria, può intervenire per consentire la prosecuzione dell’attività in stabilimenti di interesse strategico nazionale, ma a condizione che vengano tenute in adeguata considerazione, e tra loro bilanciate, sia le esigenze di tutela dell’ambiente, della salute e dell’incolumità dei lavoratori, sia le esigenze dell’iniziativa economica
e della continuità occupazionale».
«Privilegiata unicamente l'iniziativa economica»
In quell’occasione, la Corte ritenne che tali principi fossero stati rispettati; in questo caso, invece, ha ritenuto che «il legislatore abbia privilegiato unicamente le esigenze dell’iniziativa economica e sacrificato completamente la tutela addirittura della vita, oltre che dell’incolumità e della salute dei lavoratori». Da qui, la decisione di dichiarare incostituzionale il decreto del 2015. Introdotto e tenuto in vita, osserva la Corte Costituzionale, con una porcedura legislativa «anomala». In pratica, osservano gli ermellini, «la norma era stata introdotta con un decreto-legge subito dopo il sequestro dell’impianto, poi era stata abrogata apparentemente con la legge di conversione di un altro decreto legge ma, simultaneamente, era stata trasposta in un altro articolo della stessa legge di conversione, con una clausola che manteneva per il passato gli effetti già prodotti».
«Nessun impatto sull'attività produttiva»
La sentenza della Corte Costituzionale «non ha alcun impatto sulla continuità dell'attività produttiva» e «non incide minimamente sulla operatività dell'impianto», sottolinea il commissario straordinario, Enrico Laghi. «Pur in presenza del decreto legge, giudicato
incostituzionale - aggiunge il manager - per il dissequestro dell'altoforno avevamo scelto di intesa con la Procura di Taranto la via ordinaria prevista dal codice di procedura penale. Le norme del decreto dunque avrebbero rappresentato solo una soluzione alternativa, che non è stata però perseguita. Per questo motivo non c'è nulla da temere per Ilva dalla sentenza della Corte Costituzionale».