La Procura distrettuale di Venezia
ha iscritto nel registro degli indagati cinque persone,
possibili fiancheggiatori della Jihad, con l'ipotesi di reato di
associazione eversiva (270 bis). Una notizia che sembra
costituire un primo riscontro all'allerta sul terrorismo
islamico lanciata solo tre giorni fa dal ministro dell'Interno,
Angelino Alfano.
L'indagine è condotta dai Carabinieri del Ros e sarebbe
legata, secondo quanto trapelato finora, alla vicenda di Ismar
Mesinovic, il bosniaco residente nel bellunese morto in Siria
all'inizio dell'anno in combattimento dopo aver aderito alla
'guerra santà. Tra i cinque non vi sono italiani. L'attenzione
degli investigatori si era infatti concentrata fin dall'inizio
su soggetti dell'area balcanica, persone che avrebbero avuto a
che fare con Mesinovic prima che questo 'sparissè dal Veneto
nel dicembre 2013, portando con sè il figlioletto di due anni,
del quale si sono perse le tracce.
Alla conclusione che Mesinovic sia morto in Siria, ad Aleppo,
gli investigatori sono giunti attraverso foto, circolate anche
sul web, che lo vedono esanime a terra, in condizioni che fanno
presumere sia stato ucciso, anche se non è possibile dire in che
circostanze. L'ipotesi più accreditata è che il giovane,
fervente mussulmano, si sia radicalizzato ed abbia aderito alla
jihad andando a combattere al fianco degli insorti contro Assad.
L'uomo si era sposato in Italia nel 2011 (a Ponte delle Alpi, da
dove si è poi trasferito a Longarone) con una donna originaria
di Cuba, da cui si è poi separato, tenendo con sè il
figlioletto. Che fine abbia fatto il bambino è uno degli aspetti
su cui gli uomini del Ros stanno indagando. Non è noto, in
particolare, se lo abbia portato in Siria o se si trovi da
qualche parte in Bosnia, dove l'uomo era andato a trovare dei
parenti nel dicembre dell'anno scorso. Alcuni familiari di
Mesinovic, residenti in Germania, hanno detto agli inquirenti di
non sapere niente nè sui motivi per cui il loro congiunto si sia
recato in Siria, nè sulle sorti del figlio. Neanche la ex
moglie, che risiede a Belluno, ha saputo fornire notizie utili.
La donna non ha voluto convertirsi all'Islam e proprio questa
sarebbe la causa della separazione.
Sull'intera vicenda sta indagando da mesi il carabinieri
del Ros, che hanno passato al setaccio gli ambienti frequentati
dal giovane e compiuto accertamenti sulle persone che conosceva
e che potrebbero averlo aiutato nel raggiungere la Siria. I
cinque indagati, secondo quanto si è appreso, gravitavano
appunto nello stesso ambito: scopo delle indagini è anche quello
di stabilire se pure loro si siano convertiti al fondamentalismo
e intendessero seguire lo stesso percorso di Mesinovic, oppure
se abbiano avuto un ruolo nella radicalizzazione dell'uomo, fino
a spingerlo ad andare a combattere in Siria.
Si tratta di una storia, se non fosse per la tragica fine,
che ricorda quella di un altro immigrato presunto jihadista
scoperto in Veneto nel 2007, l'iracheno Saber Fadhil Hussien,
arrestato sempre dai carabinieri del Ros. L'uomo, proprietario
di un negozio di kebab, era stato sospettato d'essere a capo di
una cellula vicina ad Al Qaeda, collegata ad Al Zarqawi, e di
aver progettato un attentato a Bagdad con lanciarazzi e
kamikaze. Il processo però finì nel nulla: Fadhil Hussien,
soprannominato "Il Califfo", è stato assolto qualche mese fa dal
Gup di Venezia dall'accusa di terrorismo internazionale.
In questi anni sono state diverse le indagini radicate in
Veneto contro cellule islamiste sospettate di collegamenti con
la 'guerra santà, in Siria o in Iraq. Così, dopo che domenica
il ministro Alfano ha dichiarato "l'allerta massima" e poi si è
saputo che sarebbero una cinquantina gli "italiani" tra le fila
dell'Isis, intelligence e investigatori di Ros e Digos hanno
subito riposizionato i riflettori sugli oltre 100 centri di
preghiera e associazioni islamiche della regione. Tra questi
anche il centro culturale 'Assalam' di Ponte nelle Alpi,
frequentato dall'imbianchino bosniaco morto combattendo per la
Jihad in Siria.