giovedì 20 luglio 2023
Un rapporto di Human Rights Watch documenta, con oltre 20 testimonianze, torture e abusi inflitti agli africani di pelle scura, ai richiedenti asilo e ai rifugiati.
Migranti dalla Guinea in un giardino di Sfax in Tunisia

Migranti dalla Guinea in un giardino di Sfax in Tunisia - Reuters

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La Tunisia non è da anni un porto sicuro per gli africani di pelle scura qualunque sia la loro condizione giuridica. Ad accusare le autorità tunisine non sono solo le gravi violazioni dei diritti umani per la deportazione nel deserto senza cibo né acqua in questi giorni roventi di luglio di 1.200 persone espulse verso la Libia e l’Algeria perché accusate di immigrazione clandestina. Un report divulgato ieri dall’organizzazione internazionale “Human rights watch”, tra le prime a denunciare le violenze razziali nel Paese maghrebino, documenta infatti con oltre 20 testimonianze pestaggi, torture, arresti arbitrari, detenzioni di massa, espulsioni collettive, aggressioni da parte di bande armate, sfratti forzati dagli alloggi, furti di soldi e cellulari da parte delle forze di sicurezza. Unica motivazione: il colore della pelle. E chi ha chiesto spiegazioni sui motivi dell’arresto ad agenti che non chiedevano neppure i documenti si è sentito rispondere che gli stranieri se ne dovevano andare dal Paese. Pochi giorni dopo la firma del discusso memorandum con l’Ue, nuove ombre si allungano sulla gestione dei flussi migratori, uno dei punti del patto per cui l’Unione europea pagherà a Tunisi 105 milioni di euro.

Soldi dei contribuenti che si aggiungono, secondo la ricercatrice di “Human rights watch” Lauren Seibert, a una cifra non chiarita, ma che in base ai documenti raccolti va da un minimo di 93 a un massimo di 178 milioni versati dal 2015 al 2022 da Bruxelles per equipaggiare le guardie di frontiera e la marina di Tunisi per prevenire l’immigrazione irregolare e fermare le barche dirette in Europa.

Solo 20 milioni, secondo la ricerca, sono andati invece a progetti di mobilità lavorativa e migrazione legale e cinque ai rimpatri volontari. Alla enorme somma spesa per i programmi securitari si aggiungono i fondi versati da Berlino, Madrid, Roma e Parigi in accordi bilaterali. L’Italia, ad esempio, dal 2011 ha fornito barche e veicoli per 138 milioni e assistenza tecnica per il controllo dei confini per altri 12 milioni. Anche la Germania ha dato imbarcazioni, mentre la Spagna ha offerto assistenza informatica. Un investimento che non ha prodotto granché, dato che dalle coste tunisine proviene la maggior parte degli 80mila migranti finora sbarcati in Italia. Senza contare gli annegati. Il rapporto documenta il clima di razzismo diffuso in città come Tunisi, Sfax e Ariana, peggiorato dopo il discorso xenofobo sul tentativo di sostituzione etnica pronunciato dal presidente Saied ai primi di febbraio. Xenofobia che non ha risparmiato ad esempio un 31 enne maliano con regolare permesso di soggiorno arrestato arbitrariamente a Sfax dalla polizia in strada. «Non mi hanno chiesto i documenti – ha affermato l’uomo – e nemmeno al mio amico arrestato con me, un ufficiale guineano venuto in Tunisia per cure mediche e con regolare visto sul passaporto».

Le ferite dovute alle aggressioni subite dai migranti subsahariani e i loro telefoni rotti

Le ferite dovute alle aggressioni subite dai migranti subsahariani e i loro telefoni rotti - Reuters

Un meccanico senegalese, Moussa Baldé, in regola con i permessi, è stato tirato giù da un taxi dopo il discorso pronunciato da Saied da un agente che gli ha detto che in quanto nero non aveva il diritto di stare seduto lì. Arrestato per due giorni senza accuse, è stato malmenato e ha ricevuto cibo una volta, dormendo per terra. Quando è stato liberato i poliziotti, che non hanno chiesto neppure a lui i documenti, gli hanno intimato seccamente di lasciare il Paese.

Un altro cittadino senegalese, Abdoulaye Ba, a febbraio è stato arrestato in un cantiere dove lavorava in nero con marocchini, tunisini e subsahariani. «I poliziotti hanno portato via solo chi aveva la pelle scura – ha dichiarato ai ricercatori –. Siamo stati trattenuti poche ore, poi ci hanno rubato portafogli e cellulari e liberato ingiungendoci di andare via dalla Tunisia. Circa la metà degli intervistati e, stando a quanto affermato da altre Ong tunisine e internazionali, diverse migliaia di subsahariani hanno abbandonato il Paese nel 2023 terrorizzati.

Violenze, torture e abusi sono stati denunciati anche dai richiedenti asilo e dai rifugiati cacciati dalle loro abitazioni e che stanno manifestando dalla primavera scorsa a Tunisi davanti alla sede dell’Oim e dell’Unhcr . Due rifugiati, un eritreo e un centrafricano, hanno raccontato dell’uso da parte degli agenti di taser durante gli arresti. Altre cinque persone hanno raccontato a “Human rights watch” di abusi subiti dalla guardia costiera durante e dopo le intercettazioni e i salvataggi a Sfax, comprese botte e furti di soldi e cellulari, danni alle imbarcazioni con manovre pericolose, uso di lacrimogeni. Accuse confermate da tre Ong tunisine. I ministeri cui “Human rights watch” ha scritto non hanno fornito spiegazioni. L’organizzazione conclude, alla luce degli abusi delle forze di sicurezza e degli attacchi xenofobi in aggiunta alla mancanza di una legislazione nazionale sull’asilo, che la Tunisia non possieda i requisiti legali minimi per venire definita dall’Ue un Paese terzo sicuro, come invece era stato proposto alcune settimane fa all’ultimo Consiglio europeo dal Governo italiano in particolare. Secondo “Human rights watch”, Bruxelles e gli Stati membri dovrebbero sospendere finanziamenti e supporti previsti dal memorandum firmato domenica scorsa alle forze di sicurezza tunisine per i controlli alla frontiera o perlomeno – e sarebbe già una novità – condizionarli al rispetto dei diritti umani dei subsahariani.

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