I poveri non vengono a cercarci, non chiedono nulla. I poveri di solito stanno zitti. Si abituano alla loro condizione come fosse un destino, e allora basta che ci voltiamo dall’altra parte per non avere fastidi. Ma come un tarlo ci pungolano invece le parole di don Oreste Benzi, il fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII: «Quando i poveri non vengono a cercarci, dobbiamo andare noi a cercare loro », e allora addio alibi, non basta più girare la testa, perché la prima mossa tocca a noi. « È seguendo questo richiamo che abbiamo aperto 500 realtà di accoglienza in 43 Paesi del mondo, oltre a 30 mense, 9 “Capanne di Betlemme” per i senza dimora, 11 unità di strada per la distribuzione di aiuti, garantendo ogni anno 7 milioni e mezzo di pasti, offrendo 53mila notti al caldo e accogliendo 1.176 persone senza casa nelle nostre famiglie», spiegano i volontari dell’associazione, nata nel 1968 per volontà del prete riminese. Se non tutti possiamo aprire la nostra famiglia ai più sfortunati, possiamo però dare un contributo all’iniziativa solidale “Un Pasto al Giorno”, promossa per il 16 e il 17 settembre nelle piazze di tutta Italia dalla Papa Giovanni XXIII e giunta quest’anno alla 15esima edizione ( www.unpastoalgiorno.apg23.org).
Per due giorni le migliaia di volontari racconteranno storie di speranza e di vite cambiate, distribuendo La voce degli ultimi, un libro di pensieri, preghiere, favole e poesie scritto dagli ultimi del mondo, coloro che di solito non hanno voce ma che grazie alla Comunità hanno ritrovato dignità e affetti. A volte proprio a partire da un pasto caldo, la cosa più scontata per noi che mangiamo tutti i giorni, ma un vero e proprio miracolo per chi, a causa della crisi, della disoccupazione, della malattia, è ridotto alla fame, anche qui in Italia. « Mi chiamo Mario e fino a poco tempo fa facevo il giardiniere – è la testimonianza di uno dei “fratelli” di Comunità – ma dopo aver perso il lavoro non riuscivo a pagare l’affitto e sono finito in strada». Una catastrofe che può toccare a chiunque di noi. Qualcuno si accorgerà di me, penseremmo allora, ma non è così: «Ero diventato invisibile agli occhi dei passanti», continua Mario, «poi una sera dei giovani si sono avvicinati e mi hanno offerto del cibo e un posto in cui stare. Oggi condivido con altri la Capanna di Betlemme, dove oltre a un pasto ho ritrovato una famiglia». Perché – provare per credere – la fame che morde di più non è di cibo ma di persone che ci vogliano bene. Che non ci mollino la moneta sul palmo per poi proseguire, ma si fermino e ci chiedano chi siamo.
È la “condivisione diretta” proposta da don Benzi ai suoi volontari: « Il mandato che il nostro fondatore ci ha lasciato è condividere direttamente la nostra vita con le vittime di ingiustizia nel mondo, per rispondere al primo bisogno di ciascuno, quello di sentirsi amati e avere una famiglia», sottolinea Matteo Fadda, presidente della Comunità e a sua volta padre di una casa-famiglia in cui con sua moglie accoglie, oltre ai loro figli naturali, i “figli di cuore”. Condividere direttamente non è cosa da poco, significa essere disposti ad accogliere persone fino a quel momento sconosciute e farle diventare a tutti gli effetti un membro della famiglia. È così che migliaia di emarginati – ragazze strappate alla strada, ex tossicodipendenti, malati psichici, bambini in difficoltà, donne maltrattate, disabili gravissimi, anziani soli, ragazze madri, persone cadute in povertà – hanno avuto una seconda possibilità. « A dirci quanto un approccio più solidale sia urgente nel nostro Paese sono i numeri – avverte Fadda –: nel 2022 quasi un quarto della popolazione (24,4%) era a rischio povertà o esclusione sociale a causa della crisi globale, della pandemia, della guerra». In Italia 5,6 milioni di persone vivono in povertà assoluta, e non avere più i soldi per fare la normale spesa è diventata una piaga per 1,9 milioni di famiglie (dati Istat). Nel mondo secondo la Fao sono 828 milioni le persone che soffrono la fame, 45 milioni i bambini malnutriti al di sotto dei 5 anni.
«Di fronte a cifre del genere, iniziative come “Un Pasto al Giorno” non puntano solo a raccogliere risorse, ma ad offrire un nuovo punto di vista sulla quotidianità, dimostrando che ciascuno può davvero fare la differenza». Lo conferma la storia di Ester: «Qui in Zambia vivevo con i miei 6 fratellini in una capanna di fango. Ho dovuto lasciare la scuola: lucidando i copertoni delle auto con zucchero e acqua guadagnavo 10 kwacha (1 euro) per sfamare tutti. Poi ho incontrato la Comunità, oggi vado a scuola e mangio due volte al giorno. Oggi sono tornata bambina». « Alla Capanna di Betlemme sono nato di nuovo – racconta Giulio –, ho ricominciato a guardarmi allo specchio senza ribrezzo. Ho trovato anche lavoro come magazziniere. Tutto questo un pasto caldo non te lo dà, perché questo miracolo accada servono persone particolari, che non si limitino cioè a offrire un vassoio da dietro un bancone, ma si siedano a mangiare di fianco a te. Oggi ho un posto nella società e un futuro. E tutto è iniziato con un panino al salame». Chi ha il privilegio di conoscere le case-famiglia di don Benzi e toccare con mano il “miracolo”, sa di cosa parla Giulio. Per tutti gli altri, lunedì 11 settembre alle 21.15 su Rai5 andrà in onda “ Solo cose belle”, film di Kristian Gianfreda che racconta la vita stralunata e meravigliosa in una casa-famiglia dell’associazione, tra risate, colpi di scena e tanta commozione (premio Festival di Brooklin, Shangai Film Festival, Festival di Calcutta, Rome Independent Film Festival).