mercoledì 24 luglio 2024
Mentre in Parlamento maggioranza e opposizione si scontrano sulle nuove misure, nei penitenziari scarseggiano acqua e igiene. E, oltre agli agenti, servono psichiatri e assistenti sociali.
Il carcere romano di Regina Coeli

Il carcere romano di Regina Coeli - Imagoeconomica

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Se il sovraffollamento carcerario non fosse una questione tremendamente seria, si potrebbe essere tentati di considerare surreale il dibattito politico in corso sulle misure da adottare per provare a sfoltire le presenze negli istituti di pena. Purtroppo, mentre nelle Camere maggioranza e opposizioni si scontrano duramente su due testi distinti (il decreto legge governativo “Carcere sicuro”, all’esame del Senato, e la proposta di legge del deputato Roberto Giachetti sulla liberazione anticipata alla Camera), nei 190 penitenziari italiani i problemi restano tanti e tali da aver portato le condizioni di vita dei 60mila detenuti (10mila in più della capienza) oltre il limite del sopportabile. Entrare in una cella qualsiasi, da Bologna a Pavia, da Roma ad Avellino - denuncia l’associazione Antigone - comporta tristemente il dover fare i conti con la cronica penuria di acqua, con l’assenza di un qualsiasi sistema per refrigerare gli ambienti (mentre la canicola estiva tocca i 40 gradi) e con la presenza fastidiosa e degradante di cimici nei materassi e scarafaggi sul pavimento. E persino con tutte queste situazioni insieme, come se le “nostre prigioni” - mentre la società si apre alla domotica e all’intelligenza artificiale - debbano essere condannate, nel silenzio generale, a restare ferme alle tetre galere della Fortezza dello Spielberg, narrate da Silvio Pellico. Sono «condizioni angosciose agli occhi di chiunque abbia sensibilità e coscienza», ammonisce il capo dello Stato Sergio Mattarella, «indecorose per un Paese civile, qual è, e deve essere, l'Italia». Così, viene da chiedersi, mentre Governo e Parlamento si arrovellano su soluzioni normative più o meno coraggiose e praticabili, non sarebbe opportuno investire subito una parte dei 166 milioni di euro appostati dal ministero della Giustizia per nuovi edifici per consentire all’amministrazione penitenziaria di affrontare, già in questi mesi, le prime elementari urgenze in quelli vecchi? Mentre ci si confronta su come sfoltire le troppe presenze, non sarebbe doveroso dotare adesso gli istituti di impianti idrici e sanitari adeguati, di climatizzare anche gli ambienti in cui vivono i reclusi e non solo gli uffici direttivi, d’igienizzare e disinfestare ogni singola cella? Che dire poi della carenza di personale: va bene prospettare, come si legge nel decreto Nordio, mille nuove assunzioni nella polizia penitenziaria, ma non ne servirebbero almeno altrettante di assistenti sociali e mediatori culturali? Non solo: i servizi sanitari dietro le sbarre andrebbero implementati, accrescendo la presenza di medici e psichiatri, se si vuole provare a intercettare prima i segnali di un disagio che da gennaio ha portato a 58 suicidi, 800 tentativi e migliaia di atti di autolesionismo. Da ultimo, sulla vexata quaestio della liberazione anticipata, a cosa potrà servire ridisegnarne i meccanismi di calcolo (come fa il decreto Nordio) o portare da 45 a 75 i giorni in meno di pena concessi per ogni semestre trascorso in buona condotta (come propone il testo Giachetti) se poi i magistrati di sorveglianza che dovranno vagliare quelle istanze oggi sono solo 230 (col personale amministrativo sotto del 50%) e sulle loro scrivanie già pendono 200mila procedimenti? La situazione è talmente grave da richiedere subito interventi concreti, gare d’appalto, assunzioni. Al carcere occorre l’hic et nunc, in attesa che il legislatore faccia davvero e per intero la propria parte.

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