Ognuno ha il diritto di manifestare la propria religione, ma solo fino a un certo punto. Si può sintetizzare così la sentenza della Corte europea per i diritti umani (che afferisce al Consiglio d’Europa e niente ha a che fare con l’Ue) su quattro casi di cristiani britannici che avevano fatto ricorso adducendo di essere vittime di discriminazioni religiose. Ad aver ragione è stata solo la cristiana copta Nadia Eweida, dipendente della British Airways che l’aveva sospesa dal servizio per aver voluto indossare una piccola croce sull’uniforme, in quanto in violazione delle norme che vietavano qualsiasi gioiello o l’esposizione di simboli religiosi. Secondo la Corte di Strasburgo i tribunali nazionali britannici avevano «dato troppo peso» all’esigenza di tutelare l’immagine della società a scapito del diritto di manifestare la propria religione. Soprattutto, però, Eweida aveva dalla sua il fatto che la stessa compagnia, mentre le vietava di esporre un simbolo cristiano, aveva fatto eccezioni per veli islamici e turbanti sikh. E oltretutto nel 2006 aveva rimosso il divieto. Il governo britannico dovrà versarle un indennizzo di 32mila euro.Niente da fare invece per Shirley Chaplin, infermiera in una clinica, che era stata prima rimossa dal servizio attivo e poi aveva perso il posto, per aver rifiutato di togliersi una catenina con croce, come invece chiesto dalla direzione per ragioni di sicurezza e igiene nei rapporti con i pazienti. La Corte sostiene che «la protezione della salute e della sicurezza in ambito ospedaliero è di importanza molto maggiore» rispetto al diritto di manifestare il proprio credo.Ancora più delicato il caso degli altri due ricorrenti, Lillian Ladele e Gary McFarlane, che hanno dovuto affrontare problemi sul posto di lavoro per la loro convinzione che le relazioni omosessuali sono contrarie alla legge di Dio, protestando che per loro fosse impossibile compiere alcun atto che potesse costituire un avallo di simili relazioni. Ladele, impiegata dell’Anagrafe a Londra dal 1992, si è trovata sotto procedura disciplinare per aver rifiutato di applicare la nuova normativa britannica del 2005 che introduce l’unione civile per le coppie gay. McFarlane è stato invece licenziato dall’incarico di consulente per coppie per le sue idee sulle
civil partnership omosessuali, pur avendo assicurato che avrebbe rispettato le linee guida della sua istituzione. «Il fattore più importante di cui tener conto – scrive la Corte – è che le politiche dei datori di lavoro dei ricorrenti, quelle cioè di promuovere pari opportunità e richiedere ai propri dipendenti di agire in modo da non discriminare gli altri, hanno il legittimo scopo di assicurare i diritti di altri, quali le coppie omosessuali, che sono protetti anche dalla Convenzione (europea dei diritti umani, ndr)». La stessa Corte sottolinea che «le partnership omosessuali sono in una situazione sostanzialmente simile alle coppie eterosessuali per quanto riguarda il loro diritto al riconoscimento giuridico e alla tutela della propria relazione».Due giudici della Corte di Strasburgo – Vincent de Gaetano (Malta) e Nebojša Vucinic (Montenegro) – si sono chiaramente dissociati dalla sentenza, in particolare nel caso di Ladele. I due ricordano come in gioco ci sia la libertà non tanto di religione quanto di coscienza: «Nessuno dovrebbe essere obbligato ad agire contro la propria coscienza o esser punito per aver rifiutato di farlo», e oltretutto quando la donna fu assunta non esisteva la possibilità di unione civile tra omosessuali. «La Corte – sintetizza il comunicato finale – sottolinea l’importanza della libertà di religione come parte essenziale dell’identità dei credenti e uno dei fondamenti fattori delle società pluralistiche e democratiche». Tuttavia, aggiunge, «quando l’osservanza religiosa di un individuo intacca i diritti di altri, si possono fare distinzioni». Il punto è tutto qui.