La parrocchia di Santa Maria del Carmelo - Dal Web
La sfida è di quelle ambiziose: non solo portare il messaggio del Vangelo ma anche – e in questo caso soprattutto – riqualificare uno dei quartieri più complessi di Terni, fra immigrazione, case popolari, spaccio, degrado e violenza. E ancora: costruire degli uomini, instillando il seme della gentilezza dove invece l’ira e la rabbia sono spesso lo sbocco più facile.
Parte da qui il progetto della Caritas di Terni-Narni-Amelia che per il secondo anno ha coinvolto la parrocchia di Santa Maria del Carmelo, alla periferia sud della città. Dove in questi giorni si sono concluse le cinque settimane di Gr.Est. A gestirlo, educatori ed animatori della cooperativa sociale Pepita Onlus, con sede centrale a Milano e una base operativa in Umbria. Ma l’oratorio della parrocchia del Carmelo ha due caratteristiche: fruitori per la quasi totalità italiani nati a Terni ma figli di stranieri, quindi di etnie e religioni diverse, e un team educativo molto vario: «Noi educatori siamo tutti cattolici – dice la responsabile Gaia Corrieri – ma ci danno una mano ragazzi più giovani di varie religioni. Stiamo costruendo insieme un percorso umanamente condiviso che possa parlare alle diverse sensibilità di ciascuno».
«Il progetto riguarda l’intero quartiere – sottolinea – ma l’oratorio multietnico è il punto di partenza, per ricreare aggregazione. I cattolici erano in netta minoranza fra i 40 bambini fra i 6 e i 10 anni che hanno preso parte al Gr.Est ma la nostra proposta era centrata su valori universalmente condivisi, certamente propri prima di tutto del cristianesimo: il dono sacro della vita, il rispetto, l’originalità di ciascuno di noi. Durante il Gr.Est non abbiamo proposto la messa ma abbiamo pregato spesso insieme, per esempio col Padre Nostro e anche chi non è cattolico l’ha recitato insieme a noi. Allo stesso modo, noi cattolici abbiamo partecipato durante l’anno per esempio, ad eventi della comunità indiana». E precisa: «Non rinunciamo comunque all’annuncio di Dio: viene fatto a tutti, ma non è l’esclusività dell’esperienza».
Una scelta vincente, che ha trovato sponda anche nelle famiglie dei ragazzi: «Chi ha portato i ragazzi all’oratorio sapeva che veniva in un ambiente cattolico ed ha accettato la proposta proprio sulla base dei valori condivisi – spiega Corrieri – sulla base del percorso umano che costruiamo». Che parte dal punto più critico del quartiere, ovvero la convivenza litigiosissima fra le varie etnie, una completa mancanza di dialogo che, per gli adulti, ma anche per i ragazzi, non di rado sfocia in risse e violenza: «C’è un forte substrato di maleducazione, bullismo e violenza in tutto quel quartiere e noi lavoriamo proprio su questi aspetti, sull’uso delle parole», spiega Corrieri. «Si tratta di una sfida complessa, perché i contesti familiari e culturali non aiutano e perché l’insulto è all’ordine del giorno. Ma in fondo viviamo in una generazione dove l’offesa è quasi un complimento. Ecco, noi lavoriamo per sradicare tutto questo».
A conclusione del secondo anno, il progetto sembra dare sin qui ottimi riscontri: «La partecipazione cresce, è più che raddoppiata e le famiglie italiane e straniere apprezzano». Ma soprattutto, è riuscito l’obiettivo principale: «Far diventare l’oratorio e la parrocchia il punto di riferimento per la zona, anche per i non cattolici. Un posto dove trovano sempre un sorriso e una mano tesa, un luogo di sostegno per le famiglie, che in quel quartiere soffrono di un grande isolamento anche rispetto al resto della città», conclude Gaia Corrieri.
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