ANSA
Mancano undici mesi alle elezioni europee del 6-9 giugno 2024 e la partita comincia a entrare nel vivo, visto che oltre al Parlamento Europeo a rinnovarsi sarà anche la Commissione Europea. Cominciamo da un punto: la nomina del presidente dell’esecutivo comunitario, da Trattato Ue, spetta a maggioranza qualificata al Consiglio Europeo, e cioè ai capi di Stato e di governo, «tenendo conto» del voto europeo senza però legame diretto. Una buona parte dell’Europarlamento chiede che si attui il principio dello Spitzenkandidat (come in Germania, il capolista del partito vincente diventa capo del governo), ma vari leader, a cominciare dal francese Emmanuel Macron, lo rifiutano categoricamente. Il Parlamento Europeo ha solo il compito di confermare la nomina del nuovo presidente (e finora è sempre stato così) e poi dell’intero collegio di commissari (alcuni, questi sì, bocciati e poi sostituiti). Ursula von der Leyen, che dice di non voler candidarsi alle Europee, ha buone chance di vedersi riconfermata. La sostengono Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, anche se lui è socialdemocratico e lei popolare: a Berlino preme conservare l’importante carica. Tutto, naturalmente, cambierebbe, se la tedesca fosse candidata alla guida della Nato (il Daily Telegraph riferisce di un pressing del presidente Usa Joe Biden), ma lei per ora si dice non interessata. Poche speranze per il campo socialista: come detto, il principale capo di governo di area è Scholz che vuole Von der Leyen. Un altro leader socialdemocratico importante, il premier spagnolo Pedro Sánchez, si è apertamente schierato per lei, e oltretutto rischia di perdere il suo posto alle elezioni del 23 luglio che dànno vincente il popolare Alberto Nuñez Feijóo. Gli altri (pochi) premier socialdemocratici sono Paesi medio piccoli: Danimarca, Romania, Malta, Portogallo. Non a caso vari rumors a Bruxelles sostengono che il principale aspirante in campo socialdemocratico, il vice presidente della Commissione Frans Timmermans, stia considerando di puntare piuttosto alle elezioni nazionali a casa sua, in Olanda, previste per il 2025.
Il grande tema del momento, non solo in Italia, sono le alleanze. Quella «Ursula» (che nel 2019 ha confermato in aula la nomina di Von der Leyen), fatta di Popolari, Socialisti e Democratici (S&D) e liberali-macroniani di Renew, è in frantumi. Secondo varie fonti europarlamentari, un nutrito gruppo di Popolari è stufo di S&D e vedrebbe bene sostituire l’attuale coalizione con una di centrodestra, già realtà in numerosi Stati membri. Il presidente nonché capogruppo del Ppe Manfred Weber lavora da tempo a questo scenario, puntando se non all’ingresso tout court di Fdi nel Ppe, certamente a un’alleanza con il gruppo dei Conservatori europei (Ecr) di cui Giorgia Meloni è presidente e di cui fanno parte, insieme a Fdi, i polacchi del PiS, il partito nazional-populista al potere a Varsavia. Si tratterebbe, come auspica Antonio Tajani, di una coalizione a tre con anche Renew. Weber e Tajani concordano su un punto: no secco all’estrema destra anti-Ue del Rassemblement National di Marine Le Pen e dei tedeschi di Afd, che fanno parte del gruppo Identità e democrazia cui aderisce anche la Lega (per la quale ovviamente Tajani fa un’eccezione). Weber, inizialmente contestato in casa, vede il consenso interno crescere soprattutto dopo le vicende elettorali in vari Stati membri Ue che hanno visto il centrodestra arrivare al potere (in Finlandia e Svezia proprio con il sostegno dell’estrema destra).
I numeri però potrebbero non bastare, anche se di qui a un anno tutto può cambiare. La media degli ultimi sondaggi pubblicata pochi giorni fa dal sito europeelects.eu vede al massimo 343 seggi per una simile alleanza di centrodestra a tre, dieci in meno della maggioranza. Che invece la coalizione «Ursula» avrebbe ancora comodamente (massimo 413 seggi). Il sito Politico.eu, tuttavia, sulla base di una propria analisi, afferma invece che i numeri potrebbero esserci. Numeri a parte, ci sono altri problemi, anzitutto nel gruppo del Ppe: i polacchi della Piattaforma Civica dell’ex premier Donald Tusk avrebbero enormi problemi a coalizzarsi a Strasburgo con gli arcirivali del PiS. Molto, dicono, influiranno i risultati delle elezioni polacche del prossimo autunno. Anche Renew, del resto, è diviso, con l’ala più liberale (aperturista su temi come la maternità surrogata o i diritti Lgbtq+) che si vede incompatibile con le posizioni del PiS o anche di Fdi. Partita apertissima, dunque.