È tra i momenti più commoventi della mattinata. Dopo il silenzio e le lacrime, per il dolore composto della famiglia Cecchettin e per il discorso di papà Gino, ecco che all'uscita dalla Basilica di Santa Giustina del feretro di Giulia scatta l'applauso. In piazza ci sono migliaia di persone: forse non le 10mila attese e annunciate dalla Prefettura, che per il funerale ha messo in campo centinaia tra volontari e poliziotti, ma comunque una folla che si perde a vista d'occhio sul Prato della Valle, tra le piazze più grandi d'Europa. Ed ecco comparire il primo mazzo di chiavi, poi il secondo: il rumore è un tintinnio che in pochi istanti diventa quasi assordante. Le chiavi di casa, in tasca, le hanno tutti e tutti iniziano ad agitarle in aria come un grido, un segno di protesta e un gesto d'amore insieme, rivolto alla famiglia di Giulia. È solo adesso che Gino si commuove, stringendo la sua Elena: «Grazie» ripete il labiale sui maxischermi.
«Le chiavi sono il simbolo della casa, le teniamo in mano quando torniamo a casa la sera, magari da sole» spiega Anna, insegnante delle medie, arrivata con una spicciolata di studenti a metà funerale. Non ha un passato da militante «ma ho sentito che le chiavi sono state agitate a Bologna e in altre città lo scorso 25 novembre e ho pensato che fosse un gesto di senso, per questo le ho tirate fuori adesso». Tornare a casa vive, essere libere di farlo, non avere paura: nelle chiavi ci sono richieste che non dovrebbero nemmeno essere formulate, «invece adesso dobbiamo farlo, perché per Giulia è andata così e poteva succedere a ciascuna di noi» spiegano Linda e Giusi, liceali dell'Enrico Fermi di Padova. Ma le chiavi le agita anche il loro compagno Filippo, che le accompagna: «Ci è stato chiesto di fare rumore e lo faccio anche io. A casa, in un posto sicuro, si consumano tante violenze. Anche questo significano le chiavi: non deve più succedere».