Fosse già in vigore il disegno di legge Scalfarotto, il provvedimento che permetterà di zittire con la minaccia delle manette chi mette in circolazione tesi omofobe, o presunte tali, o che vagamente potrebbero essere intese come offensive per i diritti omosessuali, la vicenda sarebbe chiusa da un pezzo. Una bella raffica di querele, magari qualche arresto preventivo. Invece il provvedimento giace ancora in Commissione al Senato e quindi la libertà d’opinione, anche su temi legati all’identità sessuale, può ancora essere esercitata. Ecco perché la polemica infuria. Sul nulla. Perché le ragioni che hanno spinto alcuni esponenti lombardi del Pd, sostenuti dall’Arcigay e da altri solerti difensori della libertà d’opinione, a stracciarsi le vesti contro il pericolo omofobo sono davvero difficili da comprendere. Ma per far parlare i fatti, senza mettere in campo le ragioni di partito e le pur legittime opinioni personali, occorre guardare la realtà senza ricorrere al cannocchiale dell’ideologia. Perché tanto fracasso, allora? Il prossimo 17 gennaio alcune associazioni tra cui Sentinelle in piedi, Manif pour tous, Nonni 2.0, Alleanza cristiana e Obiettivo Chaire organizzeranno un convegno dal titolo: 'Difendere la famiglia per difendere la comunità'. Sede dell’incontro l’auditorium di Palazzo Lombardia che promuove l’evento e ha concesso il logo Expo. Apriti cielo. Il segretario del Pd lombardo, Alessandro Alfieri ha annunciato una mozione che verrà discussa in consiglio regionale martedì prossimo contro «l’uso strumentale delle strutture della Regione e del logo Expo». Inoltre, è stato annunciato un presidio democratico intitolato 'L’unica malattia è l’omofobia' a cui hanno aderito un ventaglio di sigle che va da Sel ai M5S, dall’associazione 'Certi diritti' alla rete degli studenti. Ma non è tutto. Un gruppo di senatori del Pd, primi firmatari Sergio Lo Giudice, Maria Cecilia Guerra e Monica Cirinnà, hanno depositato un’interrogazione per chiedere al governo di far luce sulla vicenda. E lo stesso Pd lombardo aveva chiesto al ministro delle politiche agricole, Maurizio Martina, commissario di governo per l’Expo, se non ritenga il caso di ritirare il logo per una manifestazione che – secondo gli accusatori – rischia di diventare un’apologia di reato. Già, ma quale? Promuovere la famiglia naturale, quella fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna, non pare ancora un delitto, anche perché il principio è sancito da un documento che si chiama Costituzione. Tuttora in vigore. E allora? «Sarà un’adunata di omofobi intolleranti», replicano coloro che hanno diffidato Maroni dal concedere il patrocinio della Regione. Lui ha liquidato la questione come «polemica montata ad arte» e ha promesso: «Se qualcuno sosterrà tesi strampalate dirò che non sono d’accordo». Gli avversari del convegno puntano il dito contro Obiettivo Chaire che, nella vulgata dei militanti antiomofobi, è quella che 'vuole curare i gay'. Nessuno che abbia però cercato di capire davvero come stanno le cose. Sarebbe stato facile scoprire che Obiettivo Chaire non si occupa di psicoterapia ma di accompagnamento pastorale. E in un’ottica di accoglienza, non di discriminazione, nel pieno rispetto della persona e di chi ha opinioni differenti. Mettere al centro la persona, con i suoi limiti e le sue fragilità, vuol dire certo rifiutare l’ideologia gender che pretende di inventare la sessualità sulla base di un arbitrio slegato dalla realtà biologica della persona. Ma questa, per il momento, non è opinione omofoba. Quale altra atrocità potrebbero avere in serbo gli organizzatori del convegno? Magari qualcuno oserà spiegare che esistono omosessuali che vivono con disagio la propria condizione. E si spingerà a ipotizzare che quel disagio potrebbe essere risolto sul piano esistenziale – come in alcuni casi avviene – con equilibrio e serenità, nel rispetto delle richieste della persona. Perché non per tutti omosessualità è sinonimo di lieta e spensierata gaiezza. Se questa è una posizione omofobica, hanno ragione coloro che protestano contro il convegno. In caso contrario l’intolleranza sta altrove.