lunedì 1 ottobre 2012
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​Avete appena acquistato da un vu cumprà una falsa borsa Gucci. Tralasciando, per una volta, la predica sui danni al Made in Italy, l’evasione fiscale e lo sfruttamento del lavoro nero, vi hanno mai detto che avete seriamente contribuito ad avvelenare l’acqua che berranno e l’aria che respireranno gli ignari destinatari delle scorie tossiche?Per ogni metro quadro di pelle da conceria, vengono convogliati in appositi depuratori 136 litri di acqua inquinata da sostanze chimiche. Ma le concerie clandestine, quelle nelle quali vengono prodotti gli accessori "tarocchi", non dispongono di sistemi di smaltimento e filtraggio dei fanghi, che alle aziende in regola costano circa 5 euro per metro cubo di acqua inquinata. I laboratori fantasma non possono certo liberarsi legalmente degli scarti della lavorazione conciaria. È a questo punto che entrano in gioco i professionisti del ciclo illegale.Merito anche di norme farraginose e ambigue. «Se non rende di più trasportare droga, armi o merce rubata, chi trasporta rifiuti pericolosi nascosti dietro i bancali di alimentari continuerà a farlo – denuncia Armando Zingales, presidente del Consiglio nazionale dei chimici commentando l’inchiesta di "Avvenire" –. Chi buttava i rifiuti nei fossi continuerà (forse indisturbato) a farlo, e naturalmente sarà ancora più competitivo rispetto a chi svolge la gestione dei rifiuti correttamente ed è obbligato a moltiplicare gli adempimenti burocratici».La lavorazione delle pelli dà luogo a una produzione di "pattume speciale" pari, in grammi, a oltre il 50% del peso della materia prima lavorata. Come dire che per una borsetta in vero cuoio ma col marchio fasullo, il cui peso medio è generalmente vicino al chilo, circa 500 grammi di scarti vengono smaltiti illegalmente. Dall’inizio dell’anno sono già stati sequestrati oltre 50 milioni di pezzi contraffatti. In quale pattumiera sia finita la montagna di schifezze prodotte, nessuno può dirlo con precisione.«I principali prodotti chimici inorganici utilizzati nel processo di concia sono costituiti da sali di cromo (solfati basici di cromo), calce idrata, solfuro di sodio, cloruro di sodio denaturato, nonché, in quantità minore – spiega l’Agenzia per l’ambiente del Veneto –, pigmenti, sali di alluminio e zirconio, solfidrato di sodio, solfato e cloruro di ammonio, acidi cloridrico e solforico, carbonato e bicarbonato di sodio, solfato di magnesio, solfito, bisolfito, caolino, eccetera». Niente di salutare.In Italia esistono 1.330 concerie, molte concentrate in proprio in Veneto. Occupano 18 mila addetti che realizzano un fatturato annuo di oltre 4,5 miliardi di euro.Il giro clandestino non è da meno. Anche a volerci provare è quasi impossibile fare una stima su quanto materiale tossico finisca sepolto in chissà quale cava o evaporato dentro a pile di pneumatici. Il volume d’affari dei prodotti contraffatti, nel nostro Paese è compreso tra i tre e i cinque miliardi di euro, «un dato che in termini di posti di lavoro vale negli ultimi dieci anni una perdita di circa 40 mila unità e un mancato introito fiscale pari all’8,2% del gettito Irpef e del 21,3% del gettito Iva», ha sostenuto nelle settimane scorse il vicepresidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla pirateria commerciale, Ludovico Vico.L’ultimo blitz è di una settimana fa. La Guardia di finanza di Caserta ha scoperto a Villa Literno un calzaturificio sconosciuto al fisco. Si producevano illegalmente scarpe con il marchio "Hogan". Nei magazzini i baschi verdi hanno trovato 76mila pezzi tra prodotti finiti, semilavorati e accessori. Delle sostanze tossiche da smaltire, nessuna traccia. «Non mi sorprenderei affatto – spiega un investigatore – di scoprire che tutto il materiale inquinante sia stato incenerito nella "terra dei fuochi", poco lontano da qui».Solo nei primi sette mesi di quest’anno la Guardia di Finanza ha sequestrato 53 milioni di prodotti contraffatti, denunciato 6mila persone, arrestato 94 esponenti sospettati di appartenere a organizzazioni criminali, il 41% dei quali italiani responsabili anche di reati ambientali. Messa sul mercato la merce confiscata avrebbe fruttato due milioni di euro al giorno, completamente esentasse: evasione fiscale e contributiva, riciclaggio, sfruttamento dell’immigrazione clandestina e del "lavoro nero", riduzione in schiavitù degli operai.Contro questo giro d’affari le norme sulla tracciabilità delle scorie possono davvero poco. E il Sistri, il sistema che avrebbe dovuto monitorare il ciclo dello smaltimento, peraltro «non risolve – segnala il presidente dei chimici Zingales –uno dei problemi principali: non esiste una banca dati unica e strutturata delle autorizzazioni degli impianti di gestione rifiuti. Pertanto nel rilascio e nella verifica di queste non esiste né totale trasparenza, né omogeneità di giudizio».
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