Fabio Di Lauro, che il 21 settembre 2021 è stato salvato sul Lungotevere grazie al defibrillatore della piscina del Foro Italico, portato da Luca - .
Ogni anno in Europa si registrano circa 400.000 arresti cardiaci (60.000 in Italia) e si stima che solo nel 58% dei casi chi assiste intervenga con le manovre salvavita (massaggio cardiaco, ventilazioni) e nel 28% dei casi con il defibrillatore. La sopravvivenza è di circa l’8%. In questo contesto la formazione, fin dalla giovane età, riveste un ruolo fondamentale. I bambini tra i 10 e i 12 anni, se formati, sono già in grado di eseguire le azioni necessarie per soccorrere le persone in arresto cardiaco, in attesa dei soccorsi: una ricerca danese pubblicata su Jama Network ha rilevato un aumento della sopravvivenza all’arresto cardiaco dal 4,5% nel 2005 al 14% nel 2019 in Danimarca dopo che nel 2006 l’insegnamento della rianimazione cardiopolmonare era stato inserito come obbligatorio per l’ottenimento della patente e per l’iscrizione ai corsi professionali. Per sensibilizzare sul tema l’Italian resuscitation council (Irc) promuove tra il16 e il 22 ottobre la settimana VIVA! con iniziative aperte al pubblico in tutta Italia e lanciando un concorso gratuito rivolto a tutte le scuole medie e superiori.
Roma, Lungotevere, Ponte Duca d’Aosta. Sono le 9.52 del 21 settembre 2021 quando Fabio e Luca si incontrano per la prima volta. Fabio, che di cognome fa Di Lauro, è coricato a terra privo di coscienza coi suoi 51 anni e la passione per la scherma coltivata per una vita intera, tra allenamenti, trofei, Olimpiadi, la Nazionale under 17 e under 23 che allena. A casa Cristina e il piccolo Tommaso lo pensano di corsa, con gli allievi commissari della Scuola di Polizia, che prepara atleticamente tre volte a settimana. Incontenibile, Fabio, fino a stamattina, quando il suo cuore ha deciso all’improvviso di smettere di battere. Luca, che di cognome invece fa Marras e di anni ne ha 37, guarda le grandi vetrate della piscina del Foro italico, a due passi dal ponte: è il responsabile dell’assistenza ai bagnanti, l’impianto a fine settembre si svuota, c’è il tempo per due chiacchiere con i colleghi e il pensiero ai bimbi, Andrea e Ilaria, che hanno appena ricominciato la scuola. I 500 metri che lo separano da Fabio si colmano in un istante, quando dalla vetrata sbucano due ragazze allarmate: «Aiuto, serve aiuto! C’è un uomo a terra sulla ciclabile qua sotto!». Luca si precipita alla reception, imbraccia il defibrillatore, corre fuori attraversando lo stradone senza quasi guardare. Ed eccolo quaggiù, con gli elettrodi che ridanno la vita a Fabio. Fino all’arrivo dell’ambulanza.
Luca Marras - .
Non si sono mai incontrati, da allora. «Io ho passato settimane in ospedale dopo l’operazione che ovviamente è stata necessaria, in cui mi hanno impiantato tre by-pass – racconta Fabio –. Poi la lenta ripresa, il ritorno nei posti che conoscevo, le prime corsette sotto il controllo dei medici. C’è voluto più di un anno per rimettermi in piedi». Fabio torna al Foro Italico, cerca un certo Luca di cui nessuno gli ha saputo dire il cognome, che lì però non lavora più. Chiede di lui anche agli altri amici, Alberto, Fabrizio e Massimo, gli allenatori con cui correva quella mattina, e che a loro volta hanno contribuito a salvargli la vita col massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca. Ma di Luca nessuno sa nulla. Quest’ultimo, per parte sua, viene a sapere dai medici che Fabio è vivo, che ce l’ha fatta: «E mi è bastato per dare un senso a quel momento fortissimo per me. Poi la vita mi ha portato altrove. Mi sono avvicinato a casa, sono diventato responsabile di un altro impianto».
Fabio e Luca si incontreranno per la prima volta lunedì, alla Camera dei deputati, dove sono stati invitati a offrire la loro testimonianza in occasione della Giornata mondiale della rianimazione cardiopolmonare, alla presenza di ministri, autorità e di quella Daniela Aschieri che col suo Progetto Vita, nato a Piacenza, ha dato la scossa al Parlamento per l’approvazione della legge 116 del 202 sui defibrillatori, prevedendone la presenza nei luoghi pubblici e di lavoro. Per entrambi sarà un giorno importante, non solo perché finalmente si stringeranno la mano guardandosi negli occhi: «L’emozione grande che provo quando ripenso a ciò che è successo – racconta ancora Luca – è l’essermi sentito il piccolo anello di una catena. Non ho salvato da solo una vita, ma ho fatto la parte necessaria perché la catena tenesse. In questa catena il ruolo del defibrillatore, la formazione che mi era stata impartita a utilizzarlo, sono stati fondamentali». È il punto su cui insiste anche Fabio, che di defibrillatori e rianimazione sapeva poco o niente fino al giorno in cui il suo cuore s’è fermato: «Ho ricostruito, dopo quell’episodio, la storia della mia famiglia e i ricordi sono riaffiorati: a mio padre, trent’anni fa, su una spiaggia di Rossano Calabro è successa la stessa cosa che è capitata a me. Solo che su quella spiaggia non c’era nessuno che è intervenuto, non c’era un defibrillatore. Ed è morto. Io, invece, sono stato fortunato. Il punto è che non può. non deve più essere un fatto di fortuna: i defibrillatori servono ovunque, nei negozi, agli angoli delle strade. E servono a tutti».