venerdì 19 gennaio 2024
L’arcivescovo Paglia parla di un popolo disorientato ma anche della presenza di un fuoco nuovo. Presentato il libro "La sinistra sociale", di Giorgio Merlo, ex deputato della Margherita
Un momento della presentazione del libro di Giorgio Merlo, ieri in una sede del Senato, con Casini, Renzi e monsignor Paglia

Un momento della presentazione del libro di Giorgio Merlo, ieri in una sede del Senato, con Casini, Renzi e monsignor Paglia - Picariello

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T anta gente per un partito che non c’è più e che si esclude di far tornare in vita. «La Dc ha perso, ma la Dc ha vinto», sintetizza Pier Ferdinando Casini, che già di quella stagione fu protagonista. È gremita la sala capitolare della biblioteca del Senato, nel giorno in cui ricorrono i 30 anni dalla conclusione della vicenda del “partito-guida” del primo mezzo secolo della Repubblica - e dall’inizio di un tentativo, sostanzialmente fallito, di trasferire l’esperienza unitaria dei cattolici nel Partito popolare italiano -.

L’occasione la fornisce la presentazione del libro dell’ex deputato della Margherita Giorgio Merlo, La sinistra sociale (Marcianum press). Un testo che ripercorre la storia di Forze Nuove, la corrente guidata da Carlo Donat Cattin e guidata poi da Franco Marini, che campeggiano entrambi nella foto di copertina. Un parterre di tutto rispetto per l’evento organizzato dall’ex presidente della Camera, intestatario, quello stesso giorno, il 18 gennaio del 1994, di un fallimento ulteriore in proprio, avendo dato vita, in contemporanea alla nascita del Ppi, al Centro cristiano democratico, nel dichiarato intento di schierarlo in un centrodestra che di lì a qualche giorno avrebbe registrato la discesa in campo di Silvio Berlusconi.

Il tentativo fallito, spiega Casini, è quello di dar vita «nel bipolarismo nascente dopo la caduta del muro, a un centrodestra egemonizzato dai democristiani. Un tentativo fallito, mentre altri hanno fallito, facendo, sempre in buona fede, il tentativo opposto». Ma la vittoria della Dc alla quale Casini fa riferimento è nel suo lascito, «la sua politica inclusiva delle alleanze, che ha salvato il Paese con la solidarietà nazionale ai tempi del terrorismo».

O, sul piano internazionale, «il multilateralismo», che ha portato la pace dopo l’era dei nazionalismi e delle politiche imperialiste. E ancora: «La sanità universale e gratuita per tutti che ci ha salvato nel tempo della pandemia». Ha vinto, avrebbe potuto aggiungere, perché nel giro di poche ore, non trovandosi un nome aggregante per la successione al Colle, si era pensato proprio a lui, per poi andare sulla riconferma di Sergio Mattarella. Un ex Dc al posto di un altro, insomma.

Tocca a Matteo Renzi andare su quel tasto sul filo dell’ironia, pronosticando per Casini altre due legislature per riprovare la scalata al Colle. Anche il leader di Italia Viva ha la sua sconfitta da rievocare, quando dice, riferito a Giorgia Meloni, che il «consenso» è «come un quadro, un attimo dopo può cadere. Lasciatelo dire a me, che sono il primatista a poter spiegare il passaggio da più amato a più odiato». Ma rivendica la sua scelta al centro, randellando contro il Pd, che «non è più quel luogo di contaminazione fra culture per cui era nato», contro il M5s, perché il vero tema, più della povertà, «è la caduta del ceto medio», ma anche contro il centrodestra «che governa con una classe dirigente imbarazzante».

Renzi difende allora la sua scelta di stare al centro, «perché non c’è nei sondaggi, ma poi è al centro che si vince». Evoca infine il suo conterraneo Giorgio La Pira, per denunciare «la drammatica assenza di una politica diplomatica europea e di una politica estera italiana».

Luigi Sbarra, segretario della Cisl, dice che le scelte giuste bisogna portarle avanti «anche quando non sono premiate» dai sondaggi. E contro una politica che «vive di populismo, di disintermediazione e di sondaggi», avanza dritto con la legge di iniziativa popolare promossa dal suo sindacato per la partecipazione dei lavoratori alla gestione di impresa, che non a caso qui ha trovato molti sostenitori, a partire da Casini e Renzi,e che inizia a farsi strada anche alla Camera in commissione Lavoro.

La pace è fra i lasciti della storia dei popolari e della Dc, il tema a cui tutti fanno riferimento. Gianfranco Astori, in veste di ex militante e parlamentare della sinistra sociale, ricorda anche lui la «visione multilaterale» in politica estera e la «orgogliosa valorizzazione delle autonomie e dei corpi intermedi», che fu di Sturzo e poi trasferita dalla Dc in Costituzione e nella storia del Paese. «Ampi spazi», vede Astori, per continuare su questa strada anche se, ammette, «è sempre arduo usare le categorie del passato».

Ma è l’intervento dell’arcivescovo Vincenzo Paglia quello che lascia il segno più di tutti. Guarda la platea numerosa e vi coglie «i segni di una preoccupazione per il momento che viviamo». Ricorda don Sturzo per il suo impegno a «mettere fuori legge la guerra». Individua una responsabilità nuova anche per la Chiesa «che deve investire sulla cultura, sulla politica, anche nell’azione pastorale». Chi si impegna va sostenuto e non lasciato solo. Per dare risposte ai tanti cattolici disorientati, «sono in milioni fra coloro che non votano». Bacchetta anche Renzi, scherzosamente: «Bisogna rottamare la frattaglia, non chi ha un pensiero», e indica il compito, «in una politica che esaspera i toni», di lavorare «alle esigenze unitive». Poi affida un compito ai cattolici: «Vedo un fuoco nascosto fra di voi - dice il presidente della Pontificia Accademia per la Vita -. E non è un fuoco di... paglia».





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