Il coronavirus sotto osservazione - Foto Casa Sollievo della Sofferenza
Questo matrimonio non s’ha da fare. A dirlo sono i cervelloni di Casa Sollievo della Sofferenza, l’ospedale di San Giovanni Rotondo. I Promessi Sposi sono sempre loro: la glicoproteina del “picco” S, al secolo la Spike di cui tanto s’è parlato in questi mesi, e il recettore Ace2, presente in molte cellule umane. I protagonisti della Covid story.
La prima si trova sulla superficie del coronavirus che sta paralizzando il mondo ed è famosa perché riesce a congiungersi all’enzima umano, ad aprire la membrana delle cellule umane e a riversarci dentro l’Rna virale. Senza questa chiave, il coronavirus rimarrebbe inanimato, un ammasso di proteine e di grassi alla deriva. Al contrario, da questo microscopico connubio tra Spike e Ace2 derivano tutti i nostri problemi ed è la ragione per cui l’Istituto C.S.S. Mendel di Roma, che è un presidio sanitario gestito dall’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza ed è diretto dal biologo Angelo Vescovi, sta lavorando per combinare un matrimonio diverso.
Lo renderà possibile un supercomputer: Frontera è costato 60 milioni di dollari, si trova ad Austin (Usa) ed è carrozzato con 8.008 nodi di calcolo che raggiungono una performance di picco di 4.8 teraflops. È così potente che, per raffreddarlo, deve essere parzialmente sommerso in liquidi refrigeranti. Contiene una quantità illimitata di storage disco e 800 schede grafiche per calcolo scientifico che serviranno a questa ricerca. Che, ammettiamolo, è davvero ingegnosa. Invece di rincorrere le mutazioni della glicoproteina – ne sono state individuate diverse, tra cui la celeberrima D614G su cui ha lavorato l’Università Campus Biomedico di Roma – al Mendel ci si industria per sostituirle il fidanzato con uno più prestante, ma al tempo stesso inconcludente.
«Il potenziale di questo progetto – spiega Tommaso Mazza, direttore del laboratorio di Bioinformatica dell’Irccs Casa Sollievo della Sofferenza, che opera insieme ai ricercatori Tommaso Biagini e Francesco Petrizzelli e da anni si occupa dello sviluppo di approcci computazionali ad alte prestazioni per studiare le basi molecolari delle malattie genetiche – sta nella possibilità di identificare un insieme di amminoacidi critici nel processo di infezione e, quindi, di poter indirizzare esperimenti mirati di laboratorio nella produzione di molecole di Ace2 ad uso clinico e funzionalmente inattive che possano però competere con la molecola endogena nel legame alla proteina Spike e ridurre il complessivo potenziale infettivo».
In parole più semplici, si stanno cercando gli amminoacidi situati sulla superficie dell’Ace2 che attirano la Spike e fanno scattare questo pernicioso innamoramento. L’obiettivo è ovviamente quello di produrre farmaci che impediscano al virus di penetrare nelle nostre cellule, ma al Mendel non credono che sia così facile individuare un punto debole nel coronavirus e che sia più utile sviare il nemico, confonderlo, indirizzare cioè l’attacco infettivo in una zona morta.
Il coronavirus sotto osservazione - Foto Casa Sollievo della Sofferenza
«Immaginiamo che Spike e Ace2 dialoghino attraverso degli aminoacidi, come la Lisina 113 o la Glicina 72. Noi li individuiamo, quindi cerchiamo di capire se sostituendoli, ad esempio, con il Triptofano 113 o con la Treonina 72 , la relazione fra Spike e Ace2 possa essere più “stabile”.
Se questo succede, potremmo avviare la produzione di un Ace2 artificiale siffatto che possegga, quindi, questi aminoacidi, affinché la Spike li individui e si leghi immediatamente a questo falso enzima, che non avendo la stessa funzione cellulare dell’Ace2 originale non produrrebbe l’apertura della cellula all’ingresso del virus». Colpo di fulmine e fuoco di paglia: il falso Ace2 non aprirà mai quella porta.
Esaminare le affinità elettive tra il recettore e la glicoproteina potrebbe aiutare anche a esplorare le varianti genetiche presenti nella popolazione umana, utili a conferire una diversa risposta al contagio e al decorso della malattia, ci spiegano all’Istituto, ma la vera novità del progetto sono i tempi.
Infatti, l’equipe del Mendel è tra i vincitori del bando emanato dal Consorzio Covid-19 HPC (con Ibm, Google Cloud, Amazon, Microsoft, Intel, Xsede, Nasa, Mit e Argonne National Laboratory, fra gli altri), nato in marzo per fornire ai ricercatori di tutto il mondo i più potenti mezzi di calcolo per la lotta contro il virus, e potrà utilizzare un supercomputer, riuscendo a effettuare in pochi mesi i calcoli che, con gli strumenti normalmente a disposizione, richiedono anni.
Per studiare i modelli di interazione molecolare, i ricercatori devono essere in grado di analizzare una grande mole di dati e grazie a questo bando potranno utilizzare Frontera, che è l’ottavo supercomputer più potente al mondo ed il primo in ambito accademico, messo a disposizione dal Texas Advanced Computing Center e che renderà possibile completare la ricerca entro Natale. Questo è l’unico progetto italiano a essere stato finanziato e fa parte di una rosa di 73 progetti in corso. Solo quattro sono europei.