Ci sono il capo e due gregari, tutti egiziani, nel mandato di cattura internazionale emesso dalla procura di Catania per il reato di strage. Per il procuratore capo Giovanni Salvi si tratta dei responsabili dell’affondamento di un peschereccio con 500 persone a bordo: solo una dozzina si salvarono.E dietro il terzetto d’egiziani ci sarebbe un’organizzazione ben più vasta, che si occupa non solo dell’organizzazione dei viaggi, ma corrompe agenti di polizia, guardie di frontiera, compra e vende esseri umani.Dei tre uno è già in carcere in Egitto, gli altri sono ricercati. E per la prima volta anche il Cairo sta collaborando, ha precisato il magistrato durante una conferenza stampa a cui hanno partecipato i rappresentanti della Marina militare, il capo dello Sco della Polizia, Raffaele Grassi, e i capi delle delle squadre mobili di Catania, Ragusa e Siracusa, che hanno svolto le indagini con il supporto della Marina.Secondo fonti investigative non si esclude affatto che i proventi dalle traversate nel Mediterraneo contribuiscano al finanziamento del terrorismo e all’approviggionamento di armi delle fazioni che controllano tanto alcune aree della Libia quanto la penisola del Sinai.Le inchieste hanno permesso di ottenere conferme sulle modalità operative e le rotte stabilite dai trafficanti. Dapprima i migranti vengono stipati su "navi madre" salpate dalle coste egiziane e libiche, una volta giunti al largo il "carico" e l’equipaggio viene trasbordato su vascelli più piccoli e decisamente meno rassicuranti. Questa operazione si ripete due o tre volte. Navigando per il canale di Creta, i barconi più sgangherati arrivano in Sicilia.A confermare l’esistenza di una rete internazionale che coinvolge una filiera gestita su base geografica ed etnica, c’è stata proprio a Catania l’operazione con cui lo scorso 3 dicembre venne individuato un racket che avrebbe organizzato almeno 23 viaggi, tra maggio e settembre 2014. Una di queste traversate si concluse tragicamente con il naufragio di un barcone, avvenuto al largo delle coste libiche tra il 27 e il 28 giugno scorso, che causò la morte di 244 migranti. Nel capoluogo etneo è stato individuato un appartamento utilizzato per tenere in ostaggio alcuni ragazzini, in attesa che i familiari pagassero i trafficanti prima di proseguire verso i luoghi di destinazione, presso parenti in altre zone d’Italia o d’Europa. Una modalità considerata "standard" e che perciò viene indagata allo scopo di individuare altri lager nascosti nelle città d’arrivo dei migranti.Ma per il futuro sarà molti difficile ottenere risultati investigativi importanti, se non si provvederà a sostenere il lavoro dei magistrati catanesi. «Chiediamo un impegno sia a livello nazionale che europeo perché si comprenda che qui sono necessarie risorse umane, finanziare e normative per affrontare questo problema - ha detto Salvi - se si riproporrà, come è previsto, l’anno prossimo».I numero degli ultimi 18 mesi sono una referenza. Nel distretto giudiziario di competenza della procura di Catania, che sovrintende le indagini anche su Siracusa e Ragusa, i fermi per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina sono stati 46, di cui 61 quelli di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e 191 le persone rinviate a giudizio tra il 2011 e il 2014; 109 quelle condannate in primo grado.«Questa è già una terra – ha aggiunto Salvi – in cui si lavora moltissimo su reati di criminalità organizzata. Quest’anno abbiamo ottenuto ottimi risultati: 109 condanne di soli reati associativi; ma l’anno prossimo non saremo in grado di sopportare ancora uno sforzo di questo genere nel campo della all’immigrazione clandestina».In altre parole, le indagini sui trafficanti di esseri umani rischiano di penalizzare quelle sulla mafia. E i magistrati non vorrebbero trovarsi costretti a fare una scelta.