venerdì 5 luglio 2024
Dalle plenarie ai lavori dei “laboratori di partecipazione” fino ai palchi disseminati nei punti nevralgici della città: la cronaca delle giornate da tutto esaurito
Jacopo e Laura nel “laboratorio di partecipazione” sulla scuola

Jacopo e Laura nel “laboratorio di partecipazione” sulla scuola - .

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«Il divertimento comincia adesso» spiega Carlo, del gruppo di dibattito sul lavoro, in cui le sfide alla fine della mattinata di confronto al Generali Convention centre si sono concentrate sulla necessità di mettere insieme profit e non profit e collegarli. «Serve liquidità, il Terzo settore non può fare tutto da solo. Servono investimenti e l’economia integrale di cui abbiamo parlato a Taranto, ma qui del mondo dell’impresa non c’è nemmeno l’ombra capite?» è il ragionamento di Alberto, che a quarant’anni viene considerato il “giovane” del capannello. I ragazzi giovani per davvero che lo ascoltano, tra i 20 e i 25, annuiscono con la testa, uno racconta la sua esperienza drammatica di disoccupazione a Lamezia, un’altra dice che al Sud manca la cultura d’impresa, che «la nuova evangelizzazione deve partire dal lavoro». Al dibattito prende parte, spiegando come vanno davvero le cose da Roma in giù, il vescovo di Acireale e presidente della Conferenza episcopale siciliana Antonino Raspanti: «Sì, il Sud va guardato». La Chiesa è osservatorio privilegiato, col polso della realtà oltre che della salute della democrazia. I delegati ascoltano, intervengono. È l’esempio plastico della riuscita del metodo scelto per i lavori alla Settimana sociale di Trieste: i lavori iniziano al mattino in plenaria, guidati da esperti di volta in volta legati al mondo dell’impegno sociale, della politica, della cultura. Poi ci si divide in una quarantina di gruppi formati da 24 persone, ciascuno col suo argomento al centro.

Si chiamano “laboratori di partecipazione” e le regole vengono chiarite fin dall’inizio a tutti: prima si ascolta parlare ciascuno dei delegati, poi si scrive la propria idea, poi le idee si condividono leggendole in silenzio, poi si è chiamati a votare la migliore, che non può essere la propria. Il primo giorno di lavori, ieri, è stato dedicato al punto della situazione e alle sfide da mettere a fuoco. Oggi si passa alla fase “della bussola”, quella in cui ai gruppi vengono date 10 raccomandazioni di tipo sociale e 10 di tipo politico per affrontare il loro dibattito. Domani il momento di tracciare “la rotta”, affinando le proposte da far confluire nel manuale di Trieste pronto a contagiare diocesi e territori con le istruzioni per costruire esperienze di partecipazione. «Il Paese si può cambiare davvero a partire da qui» racconta Eugenio, che dopo l’esperienza del servizio civile al Museo civico di Taverna, in provincia di Catanzaro. Nel suo gruppo si sono chiesti luoghi fisici in cui potersi confrontare sulle azioni sociali da intraprendere per l’inclusione e la partecipazione politica, «il bisogno trasversale – racconta il giovane, appena laureato in Scienze storiche – è quello di ascoltarsi e poi di agire per il cambiamento, anche nel proprio piccolo orizzonte quotidiano».

L’appuntamento è al pomeriggio in città, lontano dagli hangar del porto vecchio, dove la porta si spalanca davvero sul mondo. I dibattiti sui temi affrontati al mattino si trasformano nelle “Piazze della democrazia”, sul palco salgono volti più o meno noti a raccontare le proprie buone pratiche ed esperienze di partecipazione alla vita sociale e i delegati si mescolano ai triestini che tornano dal lavoro, a chi è in centro per fare shopping, ai turisti. L’evento in Piazza della Borsa è tra i più riusciti, si parla di famiglie. A calamitare l’attenzione dei passanti è la storia di Renata e Francesco, una coppia di sposi di Trieste che racconta la propria palestra di democrazia, costruita «sulla soglia di casa, cioè con un occhio che guarda dentro e uno che guarda fuori». Perché la democrazia si impara negoziando l’orario di rientro di un figlio, conciliando i tempi di lavoro con quelli di cura dei bimbi piccoli e dei genitori anziani, accogliendo una ragazzina in affido o facendo da tutor a un minore straniero non accompagnato rifiutato da tutti: «Sono esperienze che ci hanno cambiato la vita, perché la famiglia come la democrazia è bella, è una storia vivere e da raccontare». Che in piazza contagia. Le persone fanno domande, Mariolina Ceriotti Migliarese e Adriano Bordignon per il Forum delle famiglie pennellano inquadrando le necessità politiche ed educative, a un passo gli studenti dell’Università Cattolica di Milano fermano chi passa chiedendo di scrivere su un maxi cartellone che cos’è, per lui o per lei, partecipazione. E il muro si riempie di scritte colorate, la Settimana è più sociale che mai.

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