sabato 24 agosto 2024
Nell’anniversario della firma della Convenzione di Ginevra (22 agosto 1864), il presidente Cri non perde la speranza: le leggi sulla protezione dei civili e dei sanitari formano ancora una barriera
Rosario Valastro

Rosario Valastro - VALERIA COLLINA, per gentile concessione della Croce Rossa Italiana

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Colpire ospedali e ambulanze, prendere in ostaggio i civili, oltraggiare le donne: accade nelle guerre che si consumano in questi mesi e che segnano un pericoloso arretramento sul fronte del diritto internazionale umanitario. Una triste constatazione, proprio nel giorno in cui 160 anni fa (era il 22 agosto 1864) 11 Stati firmarono la prima Convenzione di Ginevra, a cui seguirono altre 4 nel 1949; insieme costituiscono il nocciolo duro della normativa a protezione degli operatori umanitari, dei prigionieri di guerra, delle donne e dei civili. Grazie a quella prima Convenzione e alle altre che sono seguite «si smentisce il vecchio adagio secondo il quale in guerra non ci sono regole», spiega il presidente della Croce Rossa Italiana, Rosario Valastro, 50 anni, avvocato siciliano e da 30 anni volontario Cri.

Presidente, non le viene da pensare che la Convenzione di Ginevra, 160 anni dopo la sua firma e altrettanti dalla nascita della Croce Rossa (15 giugno 1864) si sia rivelata un’utopia, se non un fallimento? I Paesi in guerra sparano su ospedali e scuole, i civili vengono rapiti e stuprati…

Non direi. Il diritto internazionale umanitario quando viene rispettato salva vite umane e limita le sofferenze nelle guerra, ponendo dei limiti precisi alle parti combattenti. Chiede insomma che nell’assurdità di tutte le guerre rimanga il rispetto per l’essere umano. Quando si salvaguardano gli operatori umanitari e la popolazione civile, quando si acconsente ai corridoi umanitari, le Convenzioni di Ginevra sono una barriera al peggio. Se invece, come vediamo accadere oggi, le leggi sottoscritte da ben 197 Paesi non vengono rispettate, si mina l’umanitarismo moderno e si mietono più vittime.

Quindi per lei il bilancio di questi 160 anni di diritto umanitario è positivo?

Sì, certo. Gli Stati che quel 22 agosto 1864 firmarono la Convenzione parlavano per la prima volta di tutela dell’essere umano in guerra e non solo di confini o di interessi mercantili. Da allora c’è stata una grande evoluzione.

Non sempre in meglio…

No, non sempre. Lo vediamo tutti: si osserva un uso indiscriminato delle armi contro presidi sanitari e scuole, cosa vietata dalle Convenzioni perché si creano inutili sofferenze alla popolazione civile.

A proposito di operatori umanitari. L’Onu nei giorni scorsi ha lanciato l’allarme: nel 2023 ne sono stati uccisi 280, molti in Medio Oriente e in Sudan. La stessa Croce Rossa ha patito 27 morti, di cui 21 volontari della Mezzaluna Rossa palestinese e 6 della corrispettiva sede israeliana, la Stella di David rossa. Insomma, un mestiere rischioso…

Quello dell’operatore umanitario è sempre stato un servizio complicato, chi lo sceglie sa di sottoporsi a pericoli. Ma in passato la croce rossa su sfondo bianco garantiva la neutralità dell’operatore. Ora invece al normale rischio insito nell’operare in una zona di guerra si aggiunge la mancanza di protezione.

Uno dei capisaldi della Croce Rossa è la neutralità. Come è stato possibile tutelare questo valore nella guerra in corso in Medio Oriente?

Non è facile. Abbiamo soccorso la popolazione di Gaza, con l’invio di tonnellate di grano, e materiali e viveri nell’ambito dell’operazione Food for Gaza. A causa dei blocchi israeliani, però, non siamo riusciti a far entrare le tende e le bombole di ossigeno perché composti da parti ferrose. D’altra parte il Comitato internazionale della Croce Rossa ha chiesto decine di volte ad Hamas di poter visitare gli ostaggi israeliani, così come prevedono le Convenzioni. Ma non ci siamo riusciti.

La Croce Rossa italiana è impegnata in varie missioni di cooperazione internazionale. Ce n’è una che le sta particolarmente a cuore?

Posso citare la missione in Gambia, dove i nostri operatori collaborano con colleghi locali per intercettare i flussi di migranti in transito e informarli dei rischi che affrontano. Un progetto che consente di salvare molte vite.

A proposito di migranti: come giudica il piano di trasferire parte di coloro che vengono salvati in mare in Albania?

Alcune cose non sono ancora chiare e quindi sospendiamo il giudizio. Due elementi ci preoccupano: la distanza e la permanenza in mare delle persone in fuga, e il fatto che le persone che migrano per arrivare in Italia non sono recluse e non è chiaro che status avrebbero in Albania.

Tra i sette principi della Croce Rossa, qual è quello a cui è più affezionato?

Umanità. È il principio base perché spiega il nostro scopo: alleviare le sofferenze dell’uomo in difficoltà.

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