mercoledì 24 luglio 2024
Telefono sempre in mano, sì, ma non per star soli. I ragazzi attivi nelle parrocchie che abbiamo attraversato donano tempo gratis e si assumono responsabilità. Smettiamo di giudicarli e ascoltiamoli
I ragazzi degli oratori milanesi

I ragazzi degli oratori milanesi - Fotogramma

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Hanno voglia di una società meno egoista, di adulti senza maschere, di non essere continuamente sottovalutati e svalutati. Sono i quindicenni, sedicenni, diciassettenni che abbiamo incontrato negli ultimi due mesi, impegnati negli oratori estivi di sette parrocchie della diocesi di Milano. Ci siamo seduti con loro attorno a un tavolo e siamo stati ad ascoltarli: questo era il cuore del progetto di Avvenire che è stato raccontato nelle pagine lombarde ma che ha una valenza che travalica i confini regionali. Di adolescenti infatti si parla continuamente, report dopo report. Vivono un tempo difficile, il Covid su loro ha pesato più che su altri. «E poi hanno sempre quel telefono in mano» dice chiunque li osservi da lontano o da vicino. Sono più isolati, più soli. E loro invece cosa dicono?
Il nostro campione è stato particolare: gli adolescenti attivi negli oratori sono immersi in una rete di relazioni e scelgono volontariamente di impegnarsi. Lo fanno perché – così ci hanno detto – in oratorio trovano relazioni più vere che in altri contesti. «Non so come dirlo, ma io qui ho amicizie più pure», spiega ad esempio Ilaria, animatrice in oratorio da poco tempo. Prima pensava che non avrebbe mai messo piede in una parrocchia, poi si è ritrovata a vivere un’estate sola tra letto e divano e l’anno dopo ha deciso di provarci. «Non me ne sono più andata», aggiunge ridendo.

Sono ragazze e ragazzi che vogliono sentirsi liberi di essere semplicemente ciò che sono, con tutte le domande, ribellioni e contraddizioni che il loro periodo di vita porta con sé. Davide, un altro giovane, ce lo spiega così: «Io sento che noi ci mettiamo sempre addosso una maschera per non essere esclusi dai gruppi, per non essere giudicati, e andiamo avanti di maschera in maschera. È così finché non troviamo un gruppo dove possiamo essere chi siamo. Io l’ho trovato qui». Che loro vedano questa libertà in un oratorio può stupire dato lo svuotarsi progressivo delle chiese. Non sono credenti per forza, alcuni lo sono e altri no, oppure hanno più domande che risposte. Però partecipano alle attività di preghiera che l’oratorio propone, accolgono i momenti di silenzio, si mettono in discussione. «Per me la preghiera è un momento in cui riflettere su come è andata la giornata e in cui ripassare le parole e i valori che ci tengono tutti insieme», racconta Alberto, 18 anni, che quest’estate ha anche preparato la meditazione mattutina di una pagina di Vangelo. Stando con loro si può pensare che le etichette, le definizioni come “credente” o “non credente”, contino fino a un certo punto se poi in un ambiente si respira un clima vivace, si vedono gesti buoni, si incontrano adulti credibili. Si può pensare che tutto viene seminato e che poi qualcosa crescerà con tempi e modi che saranno unici per ciascuno.

Ma la cosa forse più interessante è ascoltare le loro parole sul mondo degli adulti e sui cambiamenti che vorrebbero vedere nella nostra società. «Gli adulti non si ricordano come erano da adolescenti, potrebbero ricordarselo di più e giudicarci di meno»; «Vorrei che gli adulti sapessero mostrare anche la loro fragilità»; «Quando ho un problema, gli adulti mi dicono che non è niente rispetto a quello che dovrò affrontare nel futuro, ma è proprio così?»; «Io vorrei incontrare adulti che fanno davvero quello che dicono»; «Io chiedo di sottovalutarci di meno, non siamo bambini».

In molti dicono che nella nostra società vedono tanta individualità e l’incapacità di capire che i problemi non riguardano mai solo il singolo ma spesso chiamano in causa tutta una comunità. Vedono tanto giudizio e poco ascolto. Quando lo spiegano la loro voce vibra, si fa più tagliente e senti che ci credono davvero. Non risparmiano critiche e osservazioni nemmeno alla loro, di generazione. È vero si sentono più soli, è vero hanno spesso il telefono in mano, è vero: anche loro sono un po’ egoisti. Però intanto la loro estate la passano gratis ad animare il tempo dei più piccoli e ad assumersi una responsabilità. Sono lì per attrazione, non per obbligo. «Non rinuncerei a stare qui per niente al mondo», dice Beatrice, che nella vita studia al liceo scientifico e sogna di diventare dottoressa. Come già detto, il nostro campione è di certo parziale e particolare. La nostra non è stata un’analisi statistica, più un percorso di conoscenza. E giunti al termine possiamo dire che ascoltare i quindicenni, sedicenni, diciassettenni è stata l’occasione per scoprire qualcosa di più su di loro, certo, ma anche su di noi.


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