martedì 18 giugno 2024
Durante una pausa della lunga cena tra leader, la presidente del Consiglio si sfoga: "No ad accordi preconfezionati, a questo punto ci rivediamo tra dieci giorni". Ma la partita di Roma è complicata.
La frenata di Meloni nella morsa sovranista: vediamo se ce la fanno senza di noi

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È nella pausa della cena con gli altri leader che Giorgia Meloni mette in fila le idee e prova a uscire dal vicolo stretto in cui si sente: i popolari che la danno troppo “per scontata”, i socialisti che delegittimano in partenza il suo eventuale sì a Von der Leyen e i conservatori (che lei presiede) da un lato perplessi sulla linea di Fdi, dall’altro attratti da un ipotetico nuovo contenitore europeo lepenista. Serve tracciare una linea dirompente. Meloni la trova in poche parole riferite ai suoi collaboratori: «Non accettiamo accordi preconfezionati. A questo punto se ne riparla tra dieci giorni».
Ci sono un’infinità di sottomessaggi nello sfogo della premier. Ai popolari, all’amico e alleato italiano Antonio Tajani, perché combattano molto di più per evitare che il voto del Parlamento Ue sulla presidente della Commissione diventi una “conventio ad excludendum”. Ai suoi alleati europei, molti dei quali - non essendo al governo nei rispettivi Paesi - non sanno che farsene del pragmatismo meloniano. La premier italiana prova a prendere tempo: sfilandosi dall’«accordo preconfezionato» conferma di voler rappresentare la destra europea e chiede al gruppo Ecr di restare unito, di non sfrangiarsi. E l’altro messaggio è ai socialisti, che predicano l’inutilità dei conservatori: «Vediamo se sono davvero autosufficienti...», dice la premier leggendo e rileggendo le dichiarazioni del cancelliere tedesco Olaf Scholz.

La mossa di Meloni si inserisce nel contesto di una serata brussellese a dir poco confusa, in cui l’inizio della cena viene rinviato di dieci minuti in dieci minuti. Prevista alle 18, alle 21.30 è ancora in balìa di bilaterali e incontri che i negoziatori socialisti e spagnoli tentano di imbastire. Quando i lavori stanno per ricominciare, la linea stessa di Meloni viene parzialmente rielaborata. La posizione dura “al momento” resta. È il segno dei dubbi che si affollano nei ragionamenti della presidente del Consiglio. Che non può staccarsi dal “treno” Von der Leyen, soprattutto per darsi un’agibilità politica ed economica in vista della manovra di autunno (domani arriverà la procedura d’infrazione, venerdì sarà comunicata la “traiettoria” correttiva, prima della legge di Bilancio occorrerà concordare con Bruxelles il piano di rientro da deficit e debito). Ma non può “regalare” un voto a VdL a Strasburgo senza che vi sia un minimo riconoscimento politico. Un riconoscimento che ormai va oltre la poltrona da commissario che riceverà Roma: Meloni vuole un vicepresidente con portafoglio pesante, come assicura Tajani e come previsto da tempo. A questo punto impedire ai leader di chiudere subito l'accordo sugli incarichi apicali dell'Unione Europea diventa, per la premier, quasi una necessità.

Nella strettoia in cui è finita la premier, tanto incidono le interlocuzioni negative che la premier ha avuto per tutto il pomeriggio all’hotel Amigo dai compagni di viaggio conservatori e sovranisti. Colloqui che poi Meloni ha sintetizzato a Charles Michel, presidente in carica del Consiglio Ue, prima che i leader si chiudessero a conclave.

All’Amigo la presidente del Consiglio e presidente dei Conservatori europei ha avuto un confronto con il polacco Mateusz Morawiecki, vicepresidente del Pis, acerrimo nemico del popolare Donald Tusk. Il Pis ha interlocuzioni ormai costanti con Le Pen, non vuole appoggiare Von der Leyen e anela al gruppo unico della destra insieme a Le Pen. La premier italiana non è contraria, ma vorrebbe rinviare il coordinamento delle destre europee a dopo le trattative per i top jobs. È evidente che chi è al governo ha interessi e priorità diverse da chi è all’opposizione. Ma su questo registro Meloni rischia di vedersi sfrangiare il gruppo europeo. Allo stesso tempo, però, se tentenna troppo su VdL, rischia di perdersi l’ala più vicina ai popolari, come gli olandesi di N-Va, che non a caso pongono un vero e proprio veto contro l’ingresso di Orban nei Conservatori. Al leader magiaro dunque Meloni, all’Amigo, deve ripetere quanto già detto mesi fa: non è il momento di unirsi e camminare insieme. In una situazione del genere, prendere tempo per Meloni sembra quasi l’unica possibilità. Ma il vertice nella notte continua, con epiloghi imprevedibili.

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