venerdì 10 gennaio 2020
La modifica dei requisiti del limite di età abbassata da 30 a 26 anni sta bloccando il sogno di indossare la divisa. Appello dei sindacati al governo
I 455 idonei al concorso esclusi dall'arruolamento

Ansa

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Sono 455 gli idonei al servizio in Polizia di Stato esclusi dall'arruolamento, dopo un anno, a concorso ormai iniziato - a maggio 2017 – e con una graduatoria già stilata. La modifica dei requisiti del limite di età sta bloccando il loro sogno di indossare la divisa. «Siamo ragazze e ragazzi con voti altissimi e risultati idonei al 100% – spiega A. Z. – e nonostante due istanze cautelari promosse dal Tar Lazio nei nostri confronti e un’ordinanza del Consiglio di Stato che obbligavano di fatto l’amministrazione a chiamarci al corso di formazione, siamo ancora a casa, senza nessun tipo di risposta». La mancata chiamata in servizio si basa su una normativa entrata in vigore successivamente alla scadenza del bando, introdotta con un emendamento della Lega, approvata dal precedente governo, che ha abbassato il limite di età da 30 a 26 anni.

Potrebbe essere addirittura incostituzionale applicare retroattivamente regole nuove a un concorso pubblico nazionale. La 'scusa' è stata quella di voler abbassare l’età media degli appartenenti alla Polizia – attualmente altissima – ma a conti fatti, con le assunzioni dei 455 idonei, si sarebbe abbassata di circa due mesi. Senza contare che nella prima tornata di chiamate sono stati avviati al corso di formazione ragazze e ragazzi anche di 31/32 anni, prima che cambiassero i requisiti.

«Ho visto una mia cara amica del mio stesso anno entrare a novembre del 2018 in Polizia – racconta la nostra interlocutrice – e due mesi dopo, gennaio 2019, una legge applicata retroattivamente, allo stesso concorso e stessa graduatoria di merito, che invece ha eliminato me e altre centinaia di idonei dello stesso anno di nascita. Le nuove regole dovevano applicarle a un nuovo concorso che non hanno voluto fare e non a una graduatoria di merito di un anno e mezzo prima».

Nella sua stessa situazione perfino Emanuela Loi, figlia di poliziotto e nipote dell’omonima zia uccisa dalla mafia il 19 luglio del 1992 a Palermo con Paolo Borsellino e la sua scorta. Emanuela vive a Monastir, in Sardegna, quando la zia morì doveva ancora venire alla luce. Nacque quattro mesi dopo e da allora ha la stessa voglia e la stessa passione della zia. Vinto il concorso, Emanuela ha accarezzato questo sogno, ma poi tutto è cambiato. Finora sono valsi a poco manifestazioni di piazza, ricorsi a Tar e sollecitazioni varie. Durante i lavori sulla definizione della legge di Bilancio, ben sei emendamenti sono stati presentati praticamente da tutte le forze politiche. Ma purtroppo non hanno avuto esito positivo.

Il governo si è impegnato formalmente a individuare una soluzione. Anche tramite l’emanazione di un decreto che ponga fine al lungo e costoso contenzioso. Da tenere ben presente, comunque, la variabile tempo. E cioè risolvere la problematica nell’immediato proprio per evitare che possa complicarsi ulteriormente. È stato preso l’impegno di istituire un tavolo tecnico con il ministro dell’Interno Lamorgese. A fianco degli aspiranti poliziotti anche diversi sindacati di Polizia. La Silp Cgil, il Sindacato italiano dei lavoratori di polizia, per esempio, ha rivolto un appello al presidente del Consiglio: «Una situazione assurda, con numerose e complesse conseguenze tecnico-giuridiche di non facile soluzione. Adesso la parola fine a questa vicenda può metterla solo e soltanto l’attuale governo. Per questo ci appelliamo al premier Conte perché centinaia e centinaia di ragazze e ragazzi non possono rinunciare al sogno, conquistato sul campo, di vestire la divisa della Polizia di Stato. Auspichiamo pertanto una soluzione da parte della politica e dell’amministrazione che renda giustizia a chi sta subendo una grave ingiustizia».

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