sabato 9 aprile 2011
COMMENTA E CONDIVIDI
Abbiamo attraversato il fiume su un canotto. Poi ci siamo consegnati alla polizia. Non dormiamo da tre giorni». Basir ha quindici anni, ma sembra un bambino. Non sarà alto più di un metro e mezzo. Viene dall’Afghanistan, come gli altri sei ragazzi che viaggiano con lui. Hanno vestiti in parte bagnati, insufficienti a proteggerli dalla neve che cade copiosa. Sono appena stati rilasciati dalla polizia e ora aspettano il treno per Atene alla stazione di Soufli, estremo nordest greco, al confine con la Turchia. Una frontiera da cui transitano decine di migliaia di migranti ogni anno. Tentano di sconfinare nottetempo, nascosti nell’erba, in piccoli gruppi. Oppure salpano a bordo di canotti gonfiabili e pescherecci turchi, cercando di arrivare sani e salvi sull’altra sponda del fiume Evros. Una lunga linea d’acqua, che per circa 200 chilometri (fatto salvo un breve tratto di 12 chilometri, nei pressi di Edirne) segna il confine fra la Turchia e la Grecia. Dunque tra l’Asia e l’Europa.La nuova porta orientale per accedere all’Unione è questa. Almeno lo era fino a ieri l’altro, prima che il Maghreb in fiamme sfondasse l’altra porta, quella a sud, sigillata nel 2008 dal trattato italo-libico. L’evoluzione è stata rapida. Solo due anni fa i migranti affollavano i centri di detenzione delle isole egee di Samos e Lesvos. Prima di allora, si erano concentrati sul Mediterraneo occidentale, a cominciare dalla Spagna, per finire sulle nostre coste meridionali. Oggi è il "passaggio a sud-est" il più battuto.I numeri parlano da soli. Nel 2010 le persone intercettate sull’Evros sono state 36 mila, con picchi di 300 al giorno nei mesi estivi. Il 90 per cento dell’immigrazione irregolare, giunta in Europa lo scorso anno, ha attraversato questo valico sudorientale, risalendo il vettore che dall’Afghanistan e dal Pakistan attraversa l’Iran, il Kurdistan iracheno e tutta la Turchia, per poi finire in Grecia. «Abbiamo percorso quella strada anche noi – dice ancora Basir – pagando 10 mila euro a testa». Ci mostra con apprensione la white card fresca di stampa, un permesso di residenza che gli permetterà di rimanere sul suolo ellenico per un massimo di 30 giorni. È lo stesso che hanno in mano anche gli altri sei. Pur di continuare il suo viaggio, ha raccontato alla polizia di frontiera di avere 19 anni. E gli agenti lo hanno assecondato, malgrado Basir abbia l’inconfondibile fisionomia di un ragazzino. In quanto minorenne non accompagnato, dovrebbe essere accolto in apposite strutture, così sancisce il diritto internazionale. Ma il fatto stesso che la polizia gli abbia dato retta lascia comprendere le logiche di emergenza con cui vengono gestite le pratiche di riconoscimento.Ormai non ci sono solo gli afgani e i curdi, da qui arrivano anche gli africani. Somali, eritrei e sudanesi, soprattutto, in fuga da guerre e fame. Profughi che durante i due anni del patto tra Roma e Tripoli hanno spostato a sudest la rotta verso un futuro migliore. «Arrivano a tutte le ore della notte e del giorno – spiega il capo della polizia di Orestiada, Giorgos Salamangas. – Giungono qui dall’Africa, dall’Asia e dal Medio Oriente, persino dall’altra parte dell’Oceano. Ci sono algerini, egiziani, tunisini. L’altro giorno abbiamo fermato un ragazzo che arrivava dalla Repubblica Dominicana». Un flusso inarrestabile. La Grecia non riesce ad arginarlo, neanche con il supporto della missione Rabits istituita lo scorso novembre dall’agenzia europea Frontex. Sorvegliato speciale è il tratto di confine terrestre, dalle parti di Edirne, una lingua di terra lunga 12 chilometri e mezzo. Qui l’Evros curva verso la Turchia e a fare da barriera fra i due paesi restano solo lievi colline e campi di mais e girasole. Si calcola che, sui 36 mila migranti arrivati l’anno scorso, almeno 27 mila siano passati da qui. Un afflusso record, che si sta ripercuotendo sul ritmo di vita di una delle regioni più tranquille e isolate della Grecia.Nelle stazioni ferroviarie, ai capolinea dei bus, si incontrano ovunque migranti appena rilasciati dai centri di detenzione e dai commissariati di polizia che costellano la frontiera, tutti diretti verso Atene. E da qui verso Patrasso e Igoumenitsa, i porti dai quali tenteranno di proseguire il loro viaggio verso l’Italia e l’Europa continentale. La situazione è fuori controllo anche nelle stazioni della polizia di frontiera di Tychero, Soufli e Feres, dove centinaia di persone aspettano di capire se saranno espulse dalla Grecia, oppure se verranno rilasciate con la white card.Il centro di detenzione più congestionato è quello di Fylakio, a ridosso del confine terrestre. La struttura accoglie 600 migranti, più del doppio rispetto alla sua capacità. Ogni mattina qualcuno viene rilasciato e proprio oltre il cancello passa un pullman di linea che per 60 euro porta i migranti ad Atene. Al momento della nostra visita, un gruppo di nuovi arrivati viene perquisito sul piazzale interno, mentre gli africani alle finestre urlano la loro rabbia e mostrano cartelli di protesta. «A Fylakio si dorme in tre per letto e le stanze sono così piene, che non riusciamo nemmeno ad entrare per fare le visite», ci spiega Thanassis Spiratos, che nell’area coordina il nuovo progetto di Medici Senza Frontiere. L’ingresso alla stampa è vietato, dunque possiamo scattare fotografie solo dall’esterno. «L’unica cosa che non riuscirete mai a rendere è l’odore che si respira dentro quelle celle».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: