Un'immagine del devastante maltempo che ha colpito la Valle d'Aosta - Ansa
Il senso di quanto accaduto tra sabato e domenica scorsi in alcune aree del Piemonte e della Valle d’Aosta sta in qualche numero e in un fenomeno poco noto ai più: il temporale autorigenerante. Poche ore e tanta acqua che – se ve ne fosse ancora bisogno – hanno confermato quanto i tecnici sanno già perfettamente: di fronte agli eventi climatici sempre più violenti, gli unici strumenti efficaci da contrapporre sono la prevenzione e l’organizzazione. Numeri, dunque. A Cogne in poche ore sono caduti 100 millimetri di pioggia. In meno di 12 ore, invece, sono stati registrati 172 millimetri (127 circa in tre ore) a Noasca in Piemonte, in Valsesia si è arrivati a 130 e addirittura a 226 in Valle Ossola. Poi c’è stato il temporale autorigenerante: un temporale che si autoalimenta a causa di particolari condizioni atmosferiche e che sta fermo sulla stessa area per ore. È questo fenomeno in genere a provocare le alluvioni più disastrose. Assistiamo ad una rivoluzione atmosferica e ambientale globale, che colpisce poi a livello locale. Qualcosa che non si può dominare ma con cui si deve convivere.
«È necessario – dice Marco Allasia, presidente della Federazione interregionale degli agronomi e dei forestali – sottolineare che quanto è accaduto da una parte è davvero qualcosa di eccezionale, ma dall’altra non sminuisce l’importanza del lavoro pregresso di cura dell’assetto idraulico, agronomico e forestale del territorio senza il quale il bilancio di eventi di questo genere potrebbe essere ancora più grave». Prevenzione, quindi. Cosa nota proprio ai tecnici che nei territori colpiti hanno lavorato molto e bene. Poco più di un anno fa, tuttavia, proprio i tecnici forestali in una nota avevano ricordato come in Piemonte e Valle d’Aosta, i boschi occupino «oltre un milione di ettari, ma solo il 15% di essi beneficia di una corretta pianificazione. Una condizione certamente rischiosa, soprattutto se si pensa che tra il 90 e il 100% di questa superficie è in aree sottoposte a vincolo idrogeologico, in cui quindi la presenza del bosco diventa un imprescindibile fattore di protezione». Boschi, quindi, come elementi ambientali e paesaggistici, ma anche fattori di rischio oppure di protezione in relazione al grado di manutenzione. Foreste importanti che da sole però non possono fare tutto. Manutenzione dei corsi d’acqua e dei loro argini, strutture di contenimento e, soprattutto, un’organizzazione ferrea devono essere altri elementi di primo piano. Perché i rischi di un clima pazzo ci sono sempre e, qualche giorno fa, solo per un soffio non si sono trasformati in tragedia. La chiusura preventiva della strada a Cogne, per esempio, ha evitato conseguenze ben più gravi, così come la prontezza della macchina della Protezione Civile e degli appelli a stare in casa. Ma a che punto è la prevenzione idrogeologica in Italia? «Nelle zone colpite abbastanza di recente non siamo messi malissimo. Il Piemonte è tra queste» spiega Pierluigi Claps, ordinario di costruzioni idrauliche al Politecnico di Torino, secondo cui «dopo alcuni eventi gravi si è corsi ai ripari». Ma non ovunque è così. Claps spiega: «In zone che non sono state colpite di recente le preoccupazioni dovrebbero essere forti, per due motivi. Non tutto il territorio nazionale gode dello stesso livello di attenzione riguardo alla costruzione di opere di difesa e al livello di preparazione dei sistemi di Protezione Civile. In secondo luogo, stiamo assistendo ad un progressivo incremento delle piogge. Di questo c’è consapevolezza quasi ovunque, ma solo in pochi territori si sta lavorando concretamente, ad esempio con la revisione delle stime dei valori estremi per i progetti delle opere».
Poi c’è il tema monstre del cambiamento climatico. Ancora Claps spiega come nel caso particolare degli eventi dell’ultimo fine settimana, «abbiamo avuto un assaggio di possibili combinazioni negative che tenderanno ad essere più frequenti con il riscaldamento globale: piogge in alta quota, a causa delle temperature elevate, e contemporanea presenza di elevati spessori di neve al suolo». È quello che gli esperti chiamano meccanismo di “Rain-on-Snow” sempre più frequente. Le conseguenze? «In montagna e anche dove si ritiene di essere preparati sulla base degli eventi passati – sottolinea Claps – possono verificarsi fenomeni davvero catastrofici, nei riguardi dei quali c’è solo una difesa facilmente attuabile: rafforzare l’organizzazione locale della Protezione Civile».