mercoledì 9 marzo 2011
Oggi Berlusconi da Napolitano: niente norme transitorie, paletti per l’azione penale. Il premier rientra a Roma dopo l’operazione alla mandibola. Testo pronto, ma limature fino all’ultimo per convincere il presidente della Repubblica. Casini (Udc) apre al dialogo: «Ma il governo ritiri le leggi ad personam».
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La limatura continuerà sino all’ultimo secondo utile, allo scopo di vincere ogni perplessità del Colle e chiamare al tavolo delle trattative i "garantisti" delle opposizioni. Ma il ddl costituzionale di riforma della giustizia, dopo numerosi annunci e altrettanti rinvii, c’è davvero, e domani mattina sarà sul tavolo dei ministri. Il premier, nonostante i postumi dell’intervento alla mandibola, addirittura anticiperà il rientro a stamattina: vuole partecipare al Consiglio supremo della difesa presieduto da Napolitano, per anticipargli, informalmente, i cardini del testo. Poi nel pomeriggio, probabilmente, salirà al Quirinale con il Guardasigilli Angelino Alfano per entrare nei dettagli. Che tutto sia stato scritto e pensato in funzione del presidente della Repubblica è provato dall’assenza di norme transitorie - quelle che possono determinare l’applicazione dei nuovi principi ai processi in corso -, a voler dimostrare che la partita è «politica» e non legata ai procedimenti penali del premier. Altra prova è l’assenza di due provvedimenti sensibili, il ripristino dell’immunità e le modifiche alla Corte costituzionale, rinviati ad una futuribile - ma poco realistica entro questa legislatura - riforma dello Stato. Sono dimostrazioni di "buona volontà" che dovrebbero, nei desiderata del premier, rompere le pregiudiziali del Terzo polo e del Pd. E infatti un’apertura condizionata viene dal leader Udc Pier Ferdinando Casini: «Siamo disponibili a discutere se la priorità è l’interesse dei cittadini. Ma per farlo bisogna spazzare via dal tavolo le leggi ad personam». E considerazioni analoghe vengono anche da pezzi di Fli e Pd.Ma non è abbastanza per pensare che il cammino sarà liscio. Il testo-Alfano introduce il doppio Csm, il primo, quello dei giudici, presieduto dal capo dello Stato (membro di diritto il primo presidente della Cassazione) e il secondo, quello dei pm, dal pg della Cassazione, quest’ultimo eletto dal Parlamento in seduta comune su indicazione dello stesso Consiglio. Il Csm "giudicante" avrebbe per una metà laici nominati dalle Aule e per l’altra metà togati votati sulla base del sorteggio degli eleggibili. Stesso equilibrio in quello "requirente", anche se una seconda ipotesi destina ai laici addirittura i due terzi dei seggi. Il sorteggio (che toglie potere alle correnti) e il riequilibrio laici-togati sono due punti sui quali la magistratura annuncia battaglia. Così come si profilano scontri sull’istituzione di una Corte di disciplina esterna al Csm, con un terzo di componenti decisi dal Parlamento, un terzo dal Colle e un terzo - ancora con il sorteggio - dai giudici (presidente sarebbe una delle personalità di nomina parlamentare o quirinalizia). Al Consiglio verrebbe dunque sottratto il potere di "punire" i magistrati, oltre ad alcune funzioni di indirizzo politico e di valutazione delle leggi. Nel complesso si andrebbe a intervenire su 12-13 articoli della Carta, e si affiderebbero a leggi ordinarie il funzionamento della polizia giudiziaria (il tema è l’«eccessiva discrezionalità» dei pm), i casi in cui è obbligatorio esercitare l’azione penale (una sorta di lista dei reati prioritari) e le condizioni in base alle quali si può presentare appello contro sentenze di assoluzione. Nella strategia del premier la riforma deve essere spogliata da ogni connotazione personale e convincere coloro che - parole di Quagliariello - vogliono «riequilibrare i rapporti tra politica e magistratura». Allo stesso tempo, però, in Aula il Pdl spingerà su conflitto di attribuzione, intercettazioni, processo breve e, novità, su un ddl che indichi al giudice come calcolare la prescrizione (il che risolverebbe il processo sui diritti tv).
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