Frutto di una «megalomania disumana» e dell’«odio razzista dell’ideologia nazista», la Shoah perpetrata «nei campi di sterminio creati dalla Germania nazista» non va dimentica. E bisogna dunque sempre pregare perché «Dio onnipotente illumini i cuori e le menti affinché non si ripetano mai tali terribili avvenimenti». Per due volte, ieri mattina, al termine dell’udienza generale, Benedetto XVI è tornato a parlare dell’olocausto subìto dal popolo ebraico durante la seconda guerra mondiale, come aveva fatto un anno fa allo Yad Vashem, durante la sua visita a Gerusalemme, e ancora prima nel discorso pronunciato nel 2006 ad Auschwitz-Birkenau. Lo ha fatto al momento dei tradizionali saluti nelle diverse lingue e, significativamente, prima nella sua lingua madre e poi in italiano. «Esattamente 65 anni fa – ha detto testualmente il Papa in tedesco, dopo aver sintetizzato per i suoi connazionali il contenuto della catechesi – il 27 gennaio del 1945, il campo di concentramento di Auschwitz fu liberato dall’esercito sovietico. Le sconvolgenti testimonianze dei sopravvissuti mostrarono al mondo a quale orribile crimine la megalomania disumana e l’odio razzista dell’ideologia nazista portarono in Germania». «Il ricordo di questi fatti – ha quindi aggiunto Benedetto XVI – in particolare la tragedia della Shoah che ha colpito il popolo ebraico, così come la testimonianza di tutti coloro che si sono opposti a questa follia a rischio della propria vita, ci ricorda sempre più il dovere dell’assoluto rispetto della dignità della persona e della vita umana». Per il Papa, «tutte le persone di tutti i popoli e di ogni luogo devono percepirsi come una sola grande famiglia», e di qui l’invocazione perché «Dio onnipotente illumini i cuori e le menti affinché non si ripetano mai tali terribili avvenimenti». Poco più tardi, dopo i saluti in italiano, il Papa ha voluto lanciare un appello particolare sottolineando che «oggi si celebra il Giorno della memoria, in ricordo di tutte le vittime di quei crimini, specialmente dell’annientamento pianificato degli ebrei, e in onore di quanti, a rischio della propria vita, hanno protetto i perseguitati, opponendosi alla follia omicida». «Sessantacinque anni fa, il 27 gennaio 1945 – ha detto quasi con le stesse parole parole pronunciate in tedesco – venivano aperti i cancelli del campo di concentramento nazista della città polacca di Oswiecim, nota con il nome tedesco di Auschwitz, e vennero liberati i pochi superstiti. Tale evento e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono al mondo l’orrore di crimini di inaudita efferatezza, commessi nei campi di sterminio creati dalla Germania nazista». «Con animo commosso – ha proseguito – pensiamo alle innumerevoli vittime di un cieco odio razziale e religioso, che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte in quei luoghi aberranti e disumani». E, ancora una volta, ha concluso con l’auspicio che «la memoria di tali fatti, in particolare del dramma della Shoah che ha colpito il popolo ebraico, susciti un sempre più convinto rispetto della dignità di ogni persona, perché tutti gli uomini si percepiscano una sola grande famiglia. Dio onnipotente illumini i cuori e le menti, affinché non si ripetano più tali tragedie!».
Wiesel: «Ricordare perché non accada mai più». Se uno ascolta un testimone, lo diventa a sua volta: quindi, leader e parlamentari italiani, diventate nostri testimoni». Dice di non essere preoccupato di tramandare la memoria dello sterminio nazista quando non ci saranno più reduci e testimoni diretti dell’orrore dei campi, Elie Wiesel, lo scrittore ebreo premio Nobel per la Pace, l’unico sopravvissuto della sua famiglia all’inferno di Auschwitz e di Buchenwald. Non è questo, almeno, il timore principale che esprime nell’aula di Montecitorio, invitato ieri dal presidente della Camera Gianfranco Fini a commemorare il Giorno della Memoria. Il nodo, spiega Wiesel, è che dopo lo sterminio di sei milioni di persone «il mondo si è rifiutato di ascoltare, imparare: altrimenti come possiamo comprendere la Cambogia, il Rwanda, la Bosnia, il Darfur e come possiamo comprendere l’antisemitismo oggi? Se Auschwitz non ha guarito il mondo dall’antisemitismo, cosa potrà farlo?». Il premio Nobel invoca l’arresto del presidente iraniano Ahmadinejad, che si ostina a negare l’Olocausto e dichiara di voler distruggere Israele, e la sua traduzione davanti alla Corte dell’Aia per crimini contro l’umanità. E chiede alle autorità italiane di adoperarsi, per primi a livello internazionale, per fare in modo che anche gli attentati suicidi siano considerati alla stessa stregua: crimini contro l’umanità. «Non servirà a fermarli – spiega – ma forse fermerà i loro complici». Il pubblico, un mix insolito di autorità, reduci dei campi, studenti e membri della comunità ebraica con la kippah in testa, sparso tra i banchi e tra le tribune ascolta in silenzio e a tratti con commozione. Tra loro, seduti accanto, il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che prima agli studenti al Quirinale aveva ricordato come «la Shoah trasmetta ancora insegnamenti», il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e la moglie di Wiesel, Marion, scampata alla cattura e alla morte grazie all’aiuto di una famiglia italiana residente a Marsiglia.