giovedì 13 gennaio 2011
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Trenta ore di silenzio hanno fatto piombare nell’angoscia la Calabria. Dal 1995, quando le gru del porto di Gioia Tauro sono entrate in funzione, non era mai successo che le sirene dello scalo tacessero e che i mezzi per spostare i container si fermassero. Anzi, all’Università della Calabria si studiavano algoritmi di logistica per ottimizzare i tempi di carico e scarico delle navi, i turni degli operai si susseguivano senza sosta notte e giorno perché ogni minuto in più fatto trascorrere in attesa significava una penale da versare alle compagnie navali. E invece tra sabato e domenica tutto il fermento al quale la comunità locale ha legato la propria esistenza ha subito un lungo stop: non c’erano imbarcazioni in arrivo nel più grande porto di transhipment (trasbordo) del Mediterraneo, laddove in genere si registrano in media più di sette attracchi al giorno, uno ogni tre ore. All’improvviso l’oasi felice dell’economia regionale ha scoperto il rischio di ritrovarsi inaridita. Quelle trenta ore di inattività sono infatti le prime avvisaglie di uno scenario che potrebbe diventare cupo: le grandi compagnie stanno minacciando di spostare altrove le proprie rotte abbandonando al proprio destino lo scalo di Gioia Tauro, e con esso le residue speranze di un avvenire sicuro per centinaia di famiglie calabresi. Attorno al porto lavorano poco meno di tremila persone, tra dipendenti diretti e impiegati dell’indotto: una piccola Fiat, in una regione nella quale non esistono altre realtà capaci di movimentare tanta manodopera. Un caso di studio per gli economisti, che non avevano previsto il successo di uno scalo nato come ripiego dopo il fallimento del miraggio siderurgico e diventato invece il più importante riferimento per la navigazione dei grandi flussi di merci tra est e ovest del mondo. A Gioia Tauro arrivano infatti le enormi navi che fanno rotta dall’Asia all’Africa e all’Europa e viceversa: scaricano i container pieni di prodotti e le auto appena assemblate nelle fabbriche, poi fanno il pieno con nuovi contenitori e veicoli da portare nella direzione opposta. In un giorno di lavoro in condizioni normali, le gru del porto calabrese agganciano, mediamente, più di cinquemila container: la maggior parte viene tenuta nei piazzali per poi riprendere la via del mare su altre imbarcazioni, qualcuno si indirizza invece via terra secondo un’idea di intermodalità che però non è mai decollata. Ma mentre in Calabria si considerava il grande porto una realtà ormai consolidata, altrove si lavorava per risalire la china. E ora i paesi del Nordafrica e la Spagna rischiano di strappare allo scalo del Sud Italia la leadership del Mediterraneo. «È da tempo che chiediamo di affrontare la situazione con le istituzioni e con le dirigenze industriali» denunciano all’unisono Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Sul. Domani mattina a Catanzaro i rappresentanti sindacali saranno ricevuti dai vertici della Regione, insieme ai manager di Mct (Medcenter Container Terminal), l’azienda del gruppo Contship Italia che gestisce lo scalo. Un tavolo tecnico che le forze politiche di opposizione regionale hanno giudicato «tardivo» e che comunque rimanderà probabilmente la questione al Governo nazionale. Se infatti le compagnie navali puntano su altre destinazioni, è soprattutto perché i Paesi del Maghreb e la Spagna stanno attuando una politica di tagli alle tasse di ancoraggio che permette di ridurre i costi rispetto all’Italia dove, invece, negli ultimi anni si è registrata un’impennata delle imposte. Il sindaco di Gioia Tauro, Renato Bellofiore, martedì scorso ha spiegato la situazione al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta, durante un incontro a Roma. Ma anche Mct, in una conferenza stampa, ha parlato in termini espliciti della necessità di «un lavoro di squadra» con Governo e sindacati. Un anno fa, quando si prospettava la cassa integrazione per trecento lavoratori, era stata l’Autorità portuale di Gioia Tauro a investire le proprie risorse per contenere i costi delle compagnie di navigazione e l’iniziativa aveva aumentato l’attrattiva del porto permettendo, in piena crisi economica, di replicare i volumi di transito del 2009. Quest’anno, però, il presidente dell’Authority, Giovanni Grimaldi, ha fatto sapere che è improbabile che si riesca a riproporre quella soluzione. Anche perché Msc, la compagnia di navigazione che ha beneficiato della riduzione dei costi incrementando di un quinto la propria mole di traffici su Gioia Tauro, è entrata in conflitto con Mct perché preme per entrare nella gestione dello scalo. E intanto la Calabria teme di vedere evaporare l’ultimo suo miraggio economico.
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