Ora il compito della Chiesa è dare speranza e coraggio ai terremotati per superare un sisma "anomalo". Dalle prime ore di domenica 20 maggio, quando l’Emilia venne colpita dalla prima scossa, don Francesco Soddu, da pochi mesi direttore della Caritas italiana, si precipitò nella Bassa, all’incrocio delle tre province colpite, modenese, ferrarese e mantovano. Da allora è tornato più volte a visitare diocesi, parrocchie e centri d’accoglienza, arrivando a Carpi, Mirandola e ai paesi del reggiano messi in ginocchio la mattina del 29 maggio dal secondo terremoto.
Come valuta la situazione a tre settimane dall’inizio del dramma?Si tratta di una situazione anomala, se mi permette la definizione, dentro un’emergenza. Le continue scosse, oltre a quelle di assestamento, provocano infatti angoscia e paura e rendono molto difficile la valutazione dei danni alle abitazioni, alle strutture civili, alle aziende. Senza contare i danni alle chiese, che non colpiscono solo la memoria storica e il patrimonio culturale, ma il centro stesso della comunità. Quindi al momento non è possibile programmare le fasi successive all’emergenza, stilare un elenco completo dei bisogni e progettare la ricostruzione. E questo si ripercuote sullo stato d’animo della gente
Come ha trovato la popolazione?Molto provata da una situazione difficile. Sono stato nelle tendopoli e nelle palestre dove la Protezione civile ha accolto chi ha perso tutto. Qui ci sono le fasce più deboli, dai migranti agli anziani soli ai disabili. Fuori ci sono anche quelli che per paura dormono in auto in tenda o si sono trasferiti da amici e parenti. Sono oltre 100 mila. Spesso le loro abitazioni non sono state lesionate, ma magari non hanno ancora l’agibilità, così tornano a lavarsi e prendere i vestiti, ma non rientrano. Le parrocchie sono diventate il loro riferimento per restare aggrappati alla comunità.
Come ha reagito la comunità cristiana?Con immediatezza. Le Caritas parrocchiali, quelle diocesane, la delegazione emiliana si sono messe a disposizione dei più bisognosi fornendo tende e generi di prima necessità agli sfollati. Soprattutto hanno fatto sentire la propria vicinanza, con spirito di carità per i credenti e di solidarietà per chi non crede.
E cosa deve fare in quest’emergenza incessante?Anche piccoli gesti di prossimità. Ad esempio, mi ha colpito un’anziana che ho incontrato qualche giorno fa. Era in carrozzella e dormiva in una palestra, aveva lo sguardo perso nel vuoto perché due mesi fa aveva perso il figlio ed ora era rimasta senza casa. Il fatto che mi chiamassi come lui e una preghiera le hanno restituito un po’ di luce negli occhi e mi ha ringraziato. Possiamo con il cuore ridare coraggio e speranza a chi soffre, a chi ha perso tutto e ha avuto feriti o lutti in famiglia.
Domenica ci sarà la Colletta indetta dalla Chiesa italiana. Come si procederà per aiutare queste terre?In questa fase la Caritas italiana implementerà l’azione delle Caritas diocesane puntando sul coordinamento e rispettando l’autonomia di ogni realtà. Certo sul lungo periodo riproporremo il modello dei gemellaggi tra diocesi, del resto le Caritas lombarde hanno già "adottato" Mantova. E poi centri comunitari per le zone dove le chiese sono crollate. Saremo accanto alle famiglie che avranno difficoltà economiche. Finché la terra trema non c’è il quadro completo dei bisogni, ma siamo pronti per aiutare a ricostruire.