Bandiere e striscioni fuori dall’ingresso principale. Stato di agitazione e assemblee dei lavoratori (l’ultima, affollatissima, venerdì scorso). Crisi finanziaria e necessità di contenere i costi. Il Policlinico “Agostino Gemelli” non si aspettava certo un 50° compleanno così travagliato. Ma al di là di quello che raccontano i giornali e dei giorni certamente non facili che si vivono all’interno del gigante sanitario romano, la vita e l’attività del più importante ospedale del Lazio, vero polo di eccellenza per l’Italia, scorre come sempre. «Nessun allarmismo e tanto meno nessun catastrofismo – afferma monsignor Sergio Lanza, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica –. I problemi ci sono ma ho fiducia che con la disponibilità di tutti, troveremo delle soluzioni idonee a superare questo momento cruciale. Anche perché il Policlinico Gemelli è un patrimonio che nessuno ha intenzione di dismettere».Toni pacati, ma parole perentorie quelle del sacerdote che in queste settimane ha raccolto le preoccupazioni delle rappresentanze sindacali di tutte le categorie dei dipendenti (4500 persone in tutto), dopo che il 23 febbraio scorso una lettera del direttore amministrativo, Marco Elefanti, aveva annunciato la «volontà di disdettare tutti i contratti e accordi collettivi di qualsiasi livello».Lo stesso Elefanti, in una dichiarazione del 6 marzo scorso, affermava di «comprendere tali preoccupazioni del personale, che fino a oggi ha sempre dimostrato un grande senso di responsabilità e che sta continuando a lavorare con impegno e rigore». Purtroppo, aggiungeva il direttore amministrativo, «per uscire dalla grave crisi finanziaria siamo stati costretti a varare un Piano industriale che tra le misure più urgenti prevede la disdetta dei contratti aziendali. Abbiamo però subito avviato trattative con i sindacati e abbiamo 90 giorni di tempo per trovare l’accordo sui nuovi termini contrattuali. L’obiettivo comune – concludeva Elefanti – è tutelare gli interessi dei lavoratori in un quadro di complessiva sostenibilità economica finanziaria del Gemelli, senza intaccare il numero degli occupati».La dichiarazione fa riferimento a una vicenda annosa e complessa, che può essere riassunta, in estrema sintesi, come segue. Il Gemelli, che ha lo status di policlinico pubblico non statale, ha un costo di funzionamento che si aggira sui 580 milioni annui, a fronte dei quali "produce" quasi 100mila ricoveri all’anno e un’attività di ricerca di altissimo profilo (per i dati più completi si veda l’apposita scheda in questa stessa pagina). In sostanza, come ha riconosciuto di recente anche il ministro della salute, Renato Balduzzi, esso ha «un ruolo molto importante nel Sistema sanitario nazionale». Ecco perché, secondo il regime di convenzione previsto dalla legge, è la Regione Lazio a pagarne i costi.Dal 2000 ad oggi, però, la Regione ha accumulato una serie di debiti verso il "Gemelli", che hanno costretto il Policlinico a ricorrere pesantemente al sistema bancario, con conseguenze di bilancio immaginabili. Negli esercizi 2010 e 2011, poi, per effetto del piano di rientro della sanità regionale, il budget è sceso da 580 a 510 milioni (tra l’altro non tutti ancora versati). Di qui la necessità di varare il piano di contenimento della spesa, compresa quella relativa al personale.La lettera di disdetta ha però suscitato la reazione dei lavoratori, che rimproverano soprattutto la scelta di uno strumento così drastico. «Comprendiamo le difficoltà e siamo disponibili a fare la nostra parte – dice Angelo Santoliquido, rappresentante della Cisl medici –, ma non si può pensare di risolvere i problemi sulle spalle dei lavoratori. Il Gemelli, tra l’altro, ha un costo della forza lavoro molto più basso di quello degli altri ospedali, segno che non siamo certo dei privilegiati, come si dice in giro. Dunque sarebbe stato molto meglio sedersi intorno a un tavolo ed esaminare insieme i problemi, individuando soluzioni condivise».Sulla stessa linea Pio Zappaterreno, rappresentante Cgil del cosiddetto "comparto" (infermieri, tecnici e personale ausiliario). «Chiediamo il ritiro di quella lettera. Poi ci confrontiamo, guardiamo i bilanci, tagliamo sprechi, consulenze e voci non produttive e dopo, se ancora c’è bisogno, parliamo anche dei nostri stipendi. Ma non si possono decurtare per prima cosa le buste paga di chi guadagna 1000 euro al mese». Santoliquido è ancora più esplicito. «Se l’amministrazione fa un passo indietro rispetto alla disdetta, noi siamo disponibili a fare molti passi avanti, per esempio mettendo a disposizione dell’azienda ore di lavoro gratuite per tutelare gli attuali livelli produttivi».Qualche voce senza fondamento aveva addirittura parlato di licenziamenti. Una delle tante «favole» (come le definisce monsignor Lanza) fatte circolare negli ultimi tempi, tipo quella di un trasferimento del Policlinico da Roma a Brescia o della "privatizzazione" dello stesso. «La disponibilità ai sacrifici – afferma monsignor Lanza – dovrebbe escludere il tristissimo ricorso ai licenziamenti che più di ogni altra cosa contraddice lo spirito di solidarietà proprio di una istituzione cattolica». Più in generale il sacerdote auspica che il rischio di «una situazione di stallo» sia superato e che «da entrambe le parti si compiano gesti di buona volontà e vengano rimossi quei fattori di incomprensione che hanno seminato disagio e inquietudine e ci si avvii verso un dialogo costruttivo».Ricordata inoltre la necessità di «un proficuo chiarimento dei rapporti economico-finanziari con la Regione Lazio», l’assistente ecclesiastico si dice convinto che «l’autorità amministrativa della Cattolica attuerà un conveniente piano di rilancio capace di tradurre l’asserita disponibilità al sacrificio in una prospettiva concreta di rilancio al fine di incrementare questa realtà così significativa e portatrice di esemplarità nel mondo della cura della salute».In prospettiva c’è la visita del Papa, che il 3 maggio prossimo andrà al Gemelli proprio per festeggiare i 50 anni del Policlinico. Si lavora perché quel giorno striscioni e bandiere di protesta siano solo un ricordo. E perché a Benedetto XVI si possa presentare il "dono" di un "Gemelli" che ha curato a dovere anche se stesso.