Il palazzo della Regione Liguria a Genova - Ansa
Sono passati 32 anni, ma è come fosse ieri. Non per la portata degli scandali e delle inchieste giudiziarie e neppure per il paragone con Tangentopoli. Il fantasma della corruzione e i rapporti opachi tra imprese e politica ripropongono un interrogativo irrisolto: come si finanzia l’attività di partiti e candidati? In controluce, è anche questo ciò che emerge dalle indagini sul “sistema Genova” e dalle accuse rivolte in particolare al presidente della Regione, Giovanni Toti.
«Gli attori politici dovrebbero chiedersi, ogniqualvolta ricevono donazioni: da chi possiamo accettare finanziamenti? Chi può sostenere questo tipo di attività?» sottolinea Federico Anghelé, direttore di “The Good Lobby Italia”, organizzazione non profit fondata nel 2015 che recentemente ha organizzato un convegno pubblico dedicato al tema del finanziamento alle forze politiche. «Una distanza tra soggetti diversi deve esserci - continua Anghelé -, così come è necessario un apparato di autoregolamentazione. Da quel che sta emergendo negli ultimi casi, Genova compresa, spesso si dà per scontato che le risorse dei privati alla politica siano finalizzate ad avere un tornaconto successivo. Non può essere così, perciò bisogna intervenire». Va detto che ai partiti sono andati sostituendosi, negli ultimi anni, i “think tank”, le Fondazioni politiche e le associazioni: Open Polis ne ha contate ben 121, a testimonianza del fatto che lo strumento è molto utilizzato. Ricorderete il caso della Fondazione Open, a suo tempo utilizzata da Matteo Renzi, anch’essa finita nel mirino della magistratura. Normalmente, il controllo delle donazioni è demandato a un comitato interno al Parlamento, previsto per legge, che però non ha personale sufficiente per effettuare le necessarie verifiche. Nella proposta di istituire un “Manifesto del finanziamento etico, trasparente e democratico”, c’è un punto che fa riferimento alla necessità che le istituzioni si occupino, rispettivamente di “istituire un Registro elettronico unico per finanziamenti e rendiconti” e di “potenziare organi di controllo e monitoraggio”, dando alla “Commissione di garanzia degli statuti maggiori risorse per poter affrontare adeguatamente i compiti affidati”.
Quanto ai doveri e alle responsabilità del mondo politico, invece, la prima regola dovrebbe essere la segnalazione di possibili conflitti di interesse tra chi finanzia e chi riceve. «Il rischio vero in una fase storica come questa, dove l’indifferenza alla cosa pubblica è crescente, è quello di provocare un aumento della sfiducia da parte dei cittadini, già restii a considerare la politica come meritevole di risorse». La dimostrazione arriva dal caso del 2 per mille: sono solo 1,7 milioni gli italiani che hanno deciso di avvalersi di questa possibilità, su un totale di 42 milioni di contribuenti. «Un finanziamento alla politica prevalentemente privato avrebbe bisogno di anticorpi in materia di trasparenza ad oggi ancora largamente assenti - riflette Anghelé -: una regolamentazione del lobbying che ci permetta di tracciare i rapporti tra i portatori di interesse e le istituzioni; una piattaforma unica nazionale che consenta a tutti un controllo puntuale e costante del finanziamento, non solo ai partiti ma anche ai candidati e alle fondazioni politiche; risorse adeguate per il comitato incaricato di controllare ed eventualmente sanzionare».
Le polemiche relative al caso Toti, al netto della contingenza politica e degli interessi momentanei degli schieramenti in campo, vista anche la campagna elettorale, non devono però far perdere di vista la questione centrale, che è e resta la questione morale. Solo affrontando una volta per tutte i nodi irrisolti della democrazia moderna, si potrà uscire dalle ambiguità che sono rimaste intatte negli ultimi decenni.