Da tutta Italia per illuminare la notte di Castelfranco Veneto con fiaccole di libertà per migliaia di ragazze schiave: si è snodata ieri sera per le vie del centro la marcia “Stop alla tratta, libera la vita”, organizzata dall’associazione Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi. Una secchiata gelida per chi non vuol sapere e vedere, per chi si ostina a pensare che sulle strade la prostituzione delle ragazze sia un atto volontario, un modo come un altro per sbarcare il lunario. E allora è risuonata chiara la voce di Cinzia, nigeriana minorenne, che raccontava la sua storia mentre l’arte delle ombre cinesi la metteva in scena preservando il suo volto: «Orfana di padre, sono scappata dalla Nigeria del nord nel 2011, quando le persecuzioni degli estremisti islamici (gli stessi che hanno rapito le duecento studentesse, ndr) hanno preso di mira noi cristiani – ha detto la voce –. Una donna nigeriana mi ha indicato la via di fuga verso l’Italia e mi ha pagato la prima tratta del viaggio...». In realtà era la madame, colei che la stava vendendo. Sono seguiti il viaggio in un furgone con altre ragazze, la traversata del Sahara costellata di cadaveri, l’arrivo in Libia su un camion che stipava quaranta tra uomini e donne, i sei mesi in uno stanzone «dove siamo vissuti tutti insieme in attesa di un barcone. Noi ragazze venivamo violentate tutti i giorni dai trasportatori, anche davanti agli altri. Dopo sei mesi così, ci hanno imbarcati in cento su una barchetta e siamo arrivati a Genova. Da lì mi hanno venduta in Veneto»... È per Cinzia e per le altre decine di migliaia come lei che ieri sera hanno marciato tutti insieme, accanto alla Papa Giovanni XXIII, l’Agesci, i Gruppi Caritas delle diocesi del Veneto, il Centro italiano femminile, il Centro servizi per il Volontariato, il Movimento per la Vita, Telefono Rosa, il Coordinamento della Castellana, i parroci della zona e tanti cittadini comuni. Sono 18 le unità di strada della Papa Giovanni XXIII che ogni notte in tutta Italia accostano le schiave della tratta e propongono la libertà, senza stancarsi di offrire la loro semplice presenza anche di fronte a un iniziale rifiuto dettato dalla paura, e quattro operano in Veneto: a Rovigo, a Verona, lungo la strada SR53 che da Cittadella porta proprio a Castelfranco. Oltre 10mila le ragazze incontrate ogni anno, 400 quelle che solo nel 2013 hanno detto sì, hanno trovato il coraggio di denunciare i loro aguzzini e sono state accompagnate in un percorso di rinascita che nemmeno speravano più. «Cinzia è una delle poche che ha accettato anche un percorso di psicoterapia – commenta Irene Ciambezi, coordinatrice del servizio antitratta dell’associazione per il Veneto, “mamma” di una casa famiglia di accoglienza e autrice del libro “Quello che gli occhi non vedono” (ed. Sempre), in cui dà voce a una minorenne liberata –. Ora ha un lavoro nella ristorazione, cucina benissimo, è solare e fidanzata con un bravo ragazzo nigeriano. Molto matura nonostante la giovanissima età, vuole consolidare la sua autonomia lavorativa prima di sposarsi». È sempre lei a lanciare dal Veneto una nuova emergenza che riguarda molte zone d’Italia: «Da pochi mesi è tornata la prostituzione albanese che non si vedeva più da anni, da quando l’accordo bilaterale Italia Albania aveva arginato la piaga... Due mesi fa la Caritas Ambrosiana ha dato il primo allarme sulle strade di Milano e ora anche da qui confermiamo: il racket albanese è di nuovo attivissimo e la notte le vie delle città venete non appartengono più ai cittadini o alle forze dell’ordine, ma alle bande criminali di Tirana. Nella provincia di Venezia gli agenti hanno individuato molti casi di “pizzo” pagato dalle ragazze...».
A dare fiato al racket e renderlo proficuo sono naturalmente i clienti, i cui soldi finiscono nelle tasche degli sfruttatori, che li reinvestono di nuovo nella tratta di altri esseri umani e nel traffico di droga. Ecco perché l’associazione di don Benzi da sempre chiede di agire sui clienti multandoli, sia per interrompere il circolo vizioso, sia per sovvenzionare così le azioni di contrasto al racket e il reinserimento sociale delle schiave, a costo zero per lo Stato: «Il governo Renzi aveva promesso di emanare entro tre mesi il Piano antitratta previsto dalla Direttiva europea 36 del 2011. I tre mesi sono passati e del Piano non c’è ancora traccia».