lunedì 8 luglio 2024
Parla il governatore del Friuli Venezia Giulia: la Settimana sociale è stata un'occasione importante. Ho apprezzato il dibattito, franco e aperto. Questo è il cuore della democrazia
Il governatore Fedriga saluta il presidente Mattarella

Il governatore Fedriga saluta il presidente Mattarella - Ansa

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È il momento dei bilanci anche per le istituzioni e i territori che hanno ospitato la Settimana sociale. Il governatore del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, non ha dubbi: «È stata un’occasione importante per la comunità regionale. Siamo al centro dell’attenzione della comunità cristiana e devo dire che ho apprezzato molto il dibattito: aperto, franco e che permette di confrontarsi su posizioni diverse. Questo è il cuore della democrazia». Oggi per il governatore l’«emozione» di accogliere papa Francesco: «Sono stato in udienza tre volte, con la mia famiglia, con i miei due bambini e mia moglie, ma devo ammettere che ospitarlo nella nostra terra ha un significato speciale e storico».

Diceva, governatore, di aver apprezzato il dibattito di Trieste. Ma perché un confronto del genere è l’eccezione e non la regola nel nostro Paese? Perché c’è un clima politico segnato dalle polarizzazioni, non solo nel nostro Paese, anzi forse noi abbiamo qualche estremizzazione in meno. Fatto sta che questa polarizzazione porta al dominio della propaganda da una parte e dall’altra. E la propaganda poi si traduce in mancata azione di governo, o meglio in un’azione di governo che è al di sotto delle aspettative nel frattempo alimentate nei cittadini. Così va in corto circuito il sistema.

L’astensionismo sta bocciando questo modo di fare politica. Soluzioni? La grande sfida è tornare a parlare ai cittadini delle difficoltà e delle complessità, persino dei fallimenti.

I cattolici hanno spesso avuto un ruolo di “equilibratore” del sistema. C’è un dibattito da tempo in corso sul loro spazio oggi in politica... Credo che la presenza dei cattolici all’interno dei diversi partiti resti la strada migliore. Io però mi soffermerei sul fine, sull’obiettivo. Dal mio punto di vista, penso che i credenti possano e debbano portare razionalità nelle scelte politiche.

Cosa intende dire? Lo dico in riferimento a tutti i temi-chiave dell’agenda del Paese, ma anche in riferimento a temi specifici e sensibili come, ad esempio, il fine vita. Il laicismo si pretende razionale, in realtà è emotivo e ideologico. Se vedi una persona soffrire, emotivamente pensi che sia bene finirla lì. I credenti ci devono imporre riflessioni più ampie, con razionalità debbono farci capire che non è lo Stato a misurare la felicità di una vita, che non si può arrivare a derive come quelle viste in altri Paesi.

Ma una legge elettorale che decreta il dominio delle segreterie di partito non favorisce la libertà di coscienza… Il problema della legge elettorale è serio e va affrontato. Io avanzo una proposta che ritengo fattibile: un sistema misto che reintroduca le preferenze per chi vuole utilizzarle, ma che consenta di valorizzare anche il voto di chi sceglie solo il partito, affidandogli una delega. La preferenza va alla persona indicata, il voto al simbolo va ai candidati secondo la lista predisposta dal partito.

Lei ha ascoltato Mattarella dal vivo. Ha avuto retropensieri sul suo discorso? Non ho visto il discorso del capo dello Stato come un attacco all’una o all’altra forza politica. Penso che il presidente della Repubblica mai si sia comportato in questo modo nella sua saggezza e imparzialità. Il suo discorso è del tutto condivisibile: la minoranza è essenziale. Io aggiungo solo un elemento, da ammi-nistratore: oggi abbiamo un insieme di assetti istituzionali che non consentono alla maggioranza di esercitare il mandato con efficacia. E anche questo è un problema per la democrazia.

Lei come presidente della Conferenza delle Regioni avrà un ruolo nelle intese sull’autonomia. A prescindere dalle battaglie politiche, comprende il grido di allarme di un pezzo del Paese? Le materie richiedibili sono quelle già indicate dalla Carta costituzionale, non le inventa la legge Calderoli. Ma al netto di questo aspetto, vorrei dire una cosa importante: non ci fosse stata questa riforma, oggi noi non parleremmo dei Lep. Mi spiego: non è che si devono determinare e finanziare i Lep perché esiste la legge sull’autonomia. No, i Lep sono previsti dalla Costituzione e sinora lo Stato, con o senza la legge sull’autonomia, non li ha realizzati. Lo Stato sinora non ha garantito i livelli minimi di diritti sociali ai propri cittadini. Ora però bisogna arrivare a determinare i Lep ed è un obbligo inderogabile che nasce da questa legge. Preoccupazioni diverse, ma di uguale intensità, ci sono sul premierato. Non sarebbe utile un ritorno al dialogo? Il premierato è una riforma che condivido molto. Darà modo di avere il governatore d’Italia e sinceramente non credo che nelle Regioni oggi noi abbiamo delle dittature. Il problema della stabilità dei governi è, o era, condiviso anche a sinistra. Nel mio primo mandato, in cinque anni ho incontrato quattro governi. Nei rapporti internazionali è un tema serissimo. Ai tavoli esteri i ministri tedeschi e francesi si chiedono “vediamo oggi l’Italia chi ci manda”.

Non le sfuggirà che il Parlamento ha potere legislativo e sulle riforme, legarlo all’elezione diretta di un premier rischia di farne una succursale. Oggi il premier è eletto dalla ristretta platea di parlamentari indicati da segretari di partito che ambiscono a essere presidenti del Consiglio. A me non sembra una situazione molto più democratica e meno insidiosa. Perciò prendo molto sul serio l’appello a lavorare davvero sulla legge elettorale.

Lei è considerato il volto buono della Lega. È un’immagine che gradisce? In ogni forza politica ci sono profili diversi altrimenti avremmo solo il leader e i suoi replicanti. Oggi la scena mediatica vuole in politica soggetti invincibili sempre uguali a se stessi. Io lo dico sinceramente: l’azione amministrativa mi ha cambiato molto rispetto a quando ero parlamentare. E oggi se mi guardo indietro mi pento di certe intemperanze che avevo in Parlamento. Andavo sul personale ed ero anche efficace. Me ne rammarico, non lo farei più, è un modello sbagliato. La responsabilità e la complessità di amministrare ti fa capire davvero il compito della politica. Nel mio partito, poi, nella Lega, l’esperienza degli amministratori è stata sempre centrale.

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