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Tre leader e tre no. Salvini: «Io faccio il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, faccio il segretario della Lega, mi sembra più che sufficiente quello che sto facendo. Come Lega abbiamo abbondanza di donne e uomini da candidare», mette in chiaro il viocepremier del Carroccio. Non ci sarà Matteo Salvini nelle liste per il voto europeo di giugno. E quasi certamente - almeno a leggere le sue parole non ci sarà neppure Antonio Tajani. «Mi sono candidato cinque volte in Europa, non mi spaventa... Ma prima c'è il congresso di Forza Italia da affrontare e devo farlo con responsabilità». E se non bastasse ecco il secondo segnale: «Se si candidano nello stesso momento la premier e i due vicepremier - chiarisce il vicepremier di Fi - credo ci sia il rischio che si perdano di vista le priorità del governo». A questo punto i dubbi di Giorgia Meloni crescono. È vero, l'inquilina di Palazzo Chigi vorrebbe correre per Stasburgo. Vorrebbe già a giugno un giudizio degli elettori. Ma i dubbi di Tajani sono anche i suoi: c'è il governo, ci sono le leggi da fare, c'è «un'Italia da rimettere in piedi». E Meloni tutto può fare meno che dare l'idea di pensare più al risultato del suo partito che a quello del governo.
La sfida (non solo televisiva) Meloni-Schlein non è più scontata come pareva. Anzi giorno dopo giorno perde forza. Meloni la voleva. La cercava. «Penso che una mia eventuale candidatura potrebbe forse portare anche altri leader a fare la stessa scelta, potrebbe diventare un test molto interessante», aveva detto la premier solo cinque giorni fa. E l'ex presidente dei senatori Pd Luigi Zanda aveva tirato le conclusioni: «Tirarsi indietro a questo punto svantaggerebbe sia Schlein, sia il partito». Ma non c’è solo questo. La segretaria ha almeno un altro ottimo motivo per scegliere di utilizzare il suo nome e provare a rafforzare il partito. «La sua candidatura come capolista in tutti e cinque i collegi – ragiona Zanda – risolverebbe un problema interno: la sua è l’unica candidatura che metterebbe a tacere le aspirazioni degli altri». Ci sono cento giorni per decidere. Se ci sarà Meloni ci sarà anche Schlein. Ma il pressing per affondare il duello sale. Carlo Calenda, segretario di Azione, propone un patto: «Non dobbiamo candidarci perché in Europa poi bisogna andarci. Non vorrei candidarmi e vorrei che tutti i leader non lo facessero. Sarebbe un'idea per prendere l'Europa sul serio. Salvini non si candida? Mi sembra una buona cosa. Io non potrei andarci, Schlein anche: candidarsi sarebbe una presa in giro». Una linea anticipata da Giuseppe Conte: «Per rispetto e trasparenza, io non posso dire votatemi per andare all'Europarlamento perché poi non ci andrei. Lo facciano gli altri, prendano l'1 o il 2% in più. Anche questa è una questione morale», aveva già detto il capo del Movimento 5 stelle. E proprio al Movimento pensa Salvini: alle europee «puntiamo alla doppia cifra, il mio obiettivo è che la Lega prenda un voto in più dei 5 stelle. È il bello della democrazia», dice il vicepremier della Lega che torna a "chiamare il generale Vannacci: mi piacerebbe averlo in lista. Immediata la risposta. Anche questa interlocutoria. «Ringrazio per il pensiero e per la fiducia, a mente fredda valuterò, fermo restando che per il momento faccio il soldato».