«Era anche questo il sogno per cui ci siamo battuti. Ma adesso...». Il giorno di Natale 1989 il criminale di stato Nicolae Ceausescu fu letteralmente eliminato. Mara Chiritescu era una ragazza. Ora che è una signora della cultura, editrice in Romania dei grandi della letteratura italiana, non riesce quasi a finire la frase: «Ma adesso – riprende – vogliono rivedere la libera circolazione delle persone». Come altri, aveva ostinatamente rifiutato l’iscrizione al partito del dittatore comunista. «Per te niente passaporto», le dissero. Era in preventivo. Rinchiusa in quel manicomio a cielo aperto che era diventata la Romania, fantasticava sul mondo com’era fuori. «Non avevo mai viaggiato. Non potevo. Ma sognavo l’Europa. Sognavo di poterla vedere, un giorno. Da allora, dal Natale dell’89, abbiamo visto crescere i diritti. Compreso quello sacrosanto di potere attraversare indisturbati le frontiere». Circondata da una trincea di ghiaccio e neve, la sede abbandonata della
Securitate, il quartier generale degli 007 incubo di ogni dissidente, è a poca distanza. Da queste parti la definizione di 'libera circolazione' ha ancora un sapore agrodolce. «Per anni la parola libertà era semplicemente impronunciabile, rimossa come fosse un’ammissione di colpa», ricorda il professor Alexandru Emil Marin, attivista nei circoli degli irriducibili poeti romeni. Il salotto culturale di Mara sa ancora di riparo per non allineati. Come Gabriel Andreescu, eterno dissidente, giornalista leggendario con un passato da fisico, ora storico e incaricato di catalogare l’immenso archivio dei servizi segreti del regime. Alcune scoperte sono spaventose ancora oggi. «Entrate a casa sua; rompetele i denti e il muso; spezzatele le braccia e le gambe, ma non uccidetela. Così che anche gli altri comprendano», si legge in uno degli ordini di servizio a danno di un’attivista poi ridotta in coma. Perciò l’Europa che non fa più sentire un romeno o un bulgaro come un estraneo, l’Unione che grazie a Schengen sottrae potere ai doganieri e alle polizie locali – i cui metodi non sono del tutto immuni dai cattivi insegnamenti del passato – avrebbero dovuto essere «qualcosa di più – convengono Mara e Gabriel – di un contratto multilaterale per istituire una gigantesca piattaforma commerciale». Era il bene che, per dirla con le loro parole, «vinceva sul male assoluto, la pazzia al potere». Diritti che la generazione dei ventenni di oggi dà per scontati. Monica, studentessa di Lingue straniere, ha all’attivo un Erasmus in Spagna e diversi stage in Ungheria e Bulgaria. «In effetti, non ho mai avuto il passaporto. Non mi è mai servito – dice – e quando devo raggiungere in macchina Sofia o il Sud dell’Ungheria quasi mai sono stata fermata. Passavo e basta. Poi è arrivata la crisi dei profughi e tutto è cambiato in peggio». Come dire che il rigido inverno dell’Est ha già congelato i trattati e perfino le relazioni di buon vicinato. Dopo quella con la Serbia, l’Ungheria è infatti pronta a erigere una barriera difensiva lungo il confine con la Romania «nei prossimi giorni». Lo ha annunciato il ministro degli Esteri magiaro, Peter Sijarto. Il rappresentante di Budapest si è lamentato per la situazione ancora critica nella parte sud del Vecchio continente, sostenendo che i confini meridionali dell’Europa sono ancora spalancati per l’ingresso di centinaia di migliaia di migranti. Ne Romania né Ungheria, per la verità, forniscono dati ufficiali sul transito di migranti tra i due Paesi. Alcune decine sono stati bloccati nei giorni scorsi dalla gendarmeria romena, ma nei pressi di Budapest aumentano i profughi che dichiarano di essere stati 'accompagnati' da camionisti romeni. Intanto, proprio ieri la Macedonia ha chiuso la frontiera con la Grecia a migranti e profughi. Lo hanno detto le autorità greche e lo hanno riferito i media serbi: sarebbero circa 2.600 le persone bloccate sul territorio ellenico. Non sono stati resi noti i motivi del provvedimento, ma già la scorsa settimana la Macedonia aveva preso una misura analoga, chiudendo temporaneamente la frontiera ai migranti e profughi della rotta balcanica. Nel frattempo, l’Unione europea ha avvertito proprio Bulgaria e Romania. «Fare di più nella lotta al crimine, alla corruzione e nel rafforzamento del sistema giudiziario». I due Paesi ex comunisti sono entrati a far parte del consesso di Bruxelles nel 2007, promettendo cambiamenti radicali per rispettare gli standard richiesti ai 28 Paesi del blocco, ma i progressi non sono risultati così veloci. Il vicepresidente della Commissione europea, Frans Timmermans, è dovuto ricorrere al cerchiobottismo per dire che sì, «la Romania e i romeni hanno mostrato la volontà di combattere la corruzione e proteggere l’indipendenza del sistema giudiziario », ma questi sforzi «devono essere incrementati nel 2016». A gettare benzina sul fuoco della paura arrivano informazioni sulla presunta presenza di Daesh. Nei giorni scorsi due immigrati regolari, un giordano e un palestinese, sono stati espulsi perché dopo 14 anni di irreprensibile condotta sono stati scoperti dai servizi segreti mentre consultavano siti internet jihadisti. «Autoindottrinamento», lo hanno definito i magistrati che ne hanno ordinato l’allontanamento Altrove gli elementi raccolti non avrebbero giustificato provvedimenti gravi. Ma la notizia, caduta nel momento in cui ci si interroga sulla necessità di chiudere le frontiere anche in Romania, ha avuto l’effetto di allentare il dissenso intorno a decisioni drastiche. «Siamo un Paese post comunista – osserva Gabriel Andreescu – e Schengen o no, la coscienza democratica non si forma da un giorno all’altro».